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HAKUNA MATATA, MAKINWA

La massima serie ritrovata, dopo più di trent’anni. Subito, un sesto posto che vale la qualificazione alla COPPA UEFA. Palermo sta vivendo un sogno, di quelli che no, non vogliamo proprio svegliarci più. Cambia comunque il timone: la sfiorata qualificazione alla CHAMPIONS LEAGUE induce Francesco Guidolin a lasciare il Palermo’Parlerò dopo…’, afferma, contrariato per la gara contro la Sampdoria a Genova, compromessa da un calcio di rigore inesistente: Fabio Grosso, la provvidenza dell’imminente Mondiale, il protagonista dell’episodio incriminato. Per affrontare la nuova stagione, Zamparini e Foschi attuano la prima rivoluzione: ci faremo l’abitudine. Arriva Gigi Delneri, il fautore del ‘miracolo Chievo’. Cambia il sistema di gioco: sarà zona pura. Lasciano ‘Zizou’ Zauli e Luca Toni, il lungagnone autore di cinquanta reti in due stagioni. Per il friulano, presto imboccherà il viale del tramonto: in realtà, sta svoltando verso quello del trionfo.

Per sostituirlo adeguatamente, arrivano due rinforzi tosti: l’‘Airone’ Andrea Caracciolo ed il nigeriano Stephen Makinwa. Il primo è un emergente: le caratteristiche fisiche sono quelle di Toni, in più aggiunge la velocità in progressione. Farà fatica ad emularlo, oscurato dalla sua ombra: prima incombente, poi sempre più ingombrante. Il secondo stimola di più la curiosità della tifoseria, ansiosa di innalzare il suo nuovo Totem. Le premesse ci sono tutte: Makinwa, tra Genoa ed Atalanta, nell’ultima stagione va a segno dodici volte, denotando fiuto per il goal, opportunismo, una discreta corsa, qualità tecniche e soprattutto ‘fame’. Marchio di fabbrica: la capriola ad ogni realizzazione. Comincia col botto, realizzando una doppietta contro il Famagosta. Una partita che temevo, poiché  all’andata abbiamo prevalso con una sola rete di scarto. Basta un golletto e siamo fritti. L’allenatore dell’AnorthōsīKetsbaia, stavolta smette i panni di giocatore e di capitano: si accomoda in panchina. La crapa pelata, in campo, resta quella del ‘Genio’. Una scelta perdente: si vede da subito che i ciprioti hanno perso la bussola. A Nicosia, pioveranno reti, tutte di marca Rosanero. Un uragano che si abbatte con arte tutto da una parte: la porta dei padroni di casa. A segno Caracciolo da subito, poi si dilaga nella ripresa. Ad intervallare la doppietta di un incontenibile Makinwa, quella di Santana. Ha segnato pure in Europa, l’uomo dei record in tutte le categorie, anche quelle che non mi sarei mai aspettato. Passiamo il turno, siamo nella fase a gironi. Il mese di Settembre si chiude alla grande, per il nigeriano e per il PalermoStephen è autore della terza rete che umilia l’Internazionale di Mancini, sotto di tre reti e poi riabilitata parzialmente dalle due di Cruz, che sciacquano la faccia dell’allora ‘Mister X’. Sembra il preludio di una nuova stagione d’amore: sarà l’anticipo di un film che abbiamo visto e rivisto. Delneri ci mette del suo: schiera sempre la stessa formazione, tra campionato e coppa. E i ragazzi scoppiano. Arriva così il quarto esonero dell’era Zamparini: ne abbiamo perso il conto. Makinwa volteggerà per altre quattro volte, poi viene ceduto alla Lazio. Quello verso la capitale, potrebbe essere il salto definitivo: sarà un volo nel baratro. Non vede più la porta, viene girato in prestito all’estero, persino in LEGA PRO, fino a chiudere in Slovenia. E mentre Luca Toni scala i vertici del calcio internazionale, trionfando in Germania per poi conquistarla tutta, il nigeriano smette i panni da gazzella della savana e si ritroverà sperduto in una giungla che non perdona: quella del Calcio. Hakuna Matata, Makinwa.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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IL DEBUTTO

Un giorno, il Palermo andrà in COPPA UEFASee vabbè.

Ed invece, la realtà supererà la SERIE A e quella che sembrava soltanto fantascienza. Perché al primo colpo si sfiora il colpo grosso: non è CHAMPIONS per un soffio, ma il gradino più in basso non è lo stesso niente male.

Per il debutto, l’avversario è alla portata. La formazione cipriota non fa spavento, ma è per altro, il malcontento. Per l’evento, al Barbera soltanto 13.047 astanti. Roba d’altri tempi: resta da stabilire quali. Si è già ingozzato, il pubblico palermitano. Il delirio è durato poco: troppe vittorie, troppi giocatori d’alto livello e ancora non abbiamo visto niente. Gli umani di oggi, hanno visto cose che non si possono dimenticare, ma io preferisco restare extraterrestre. Perché oggi, per il tifo rosanero, chi viene dalle stelle non si chiama Miccoli o Pastore. Ma coloro che assiepavano la Favorita in SERIE C e SERIE B, per anni ed anni. Una galassia lontana lontana ed il viale del Fante come a Copacabana. Se me lo avessero detto per davvero, del Palermo in Europa, probabilmente ci avrei creduto. Prima o poi, doveva capitare.

See vabbè, chiddici. Ma lo stadio più vuoto che pieno: roba da non credere. Per la cronaca, la sblocca Genio Corini già al sesto minuto: il suo calcio di punizione è sentenza. Sono passati appena cinque giorni, da quel piazzato che ci ha tolto a tutti il fiato. Ci prova lo stempiato e attempato Ketsbaia alla stessa maniera, ma non è cosa. Altro punto in comune con il nostro Capitano: la fascia al braccio. Dei piedi, non parliamone: sono comunque i migliori dell’Anorthōsī. Mentre del sedere, qualcosa possiamo dire: potrebbe poggiarlo in panchina, poiché è anche l’allenatore degli ospiti. La sfida isolana prende l’abbrivio siculo definitivamente alla mezz’ora: fallo in area su Terlizzi ed è dischetto per Ciccio Brienza, che di segnare non può far senza. Poi, la scena è tutta sua: Ketsbaia non molla e stavolta non sbaglia. Un match deciso dai tiri da fermo: il suo ennesimo su punizione gli sorride ad un quarto d’ora dalla fine. Dinamo Tbilisi, la stessa Famagosta, poi AEKNewcastleWolves. Ne ha viste di tutti i colori, il buon Temuri: qualche strega, l’ha fatta vedere anche a noi. Nella gara di ritorno: soltanto sorci verdi. Tutti per lui.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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UN LOGO PER SEMPRE

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1979-1980

12 vittorie, 14 pareggi e 12 sconfitte. 35 reti realizzate e 32 subite. Si chiude a quota 38, che valgono il nono posto in classifica in condominio con AtalantaGenoa e Bari. La promozione dista soltanto sette punti ed è appannaggio del Brescia. La Leonessa stacca il biglietto con il terzo posto, ad una sola lunghezza dalla Pistoiese e tre dal Como, la capolista finale. Cadono in SERIE C SambenedetteseTernanaParma e Matera. Bastavano quattro vittorie in più, al Palermo, che paga l’anemia offensiva e spreca un’occasione: era l’anno buono per il salto. Il capocannoniere dei Rosanero risulta Fausto Silipo: le sue sei marcature realizzate sono tante, considerando che non si trattava di un attaccante. Rappresentano anche un segnale sconfortante: manca il bomber. Si parte forte, soprattutto alla Favorita. Otto reti realizzate e porta inviolata contro LecceMatera e Parma: l’attacco spara troppe cartucce e scarseggiano le munizioni. Arrivano due vittorie consecutive in trasferta contro Cesena e Sampdoria. A parte la sconfitta di Pistoia alla seconda giornata, nelle prime sei il Palermo ne vince cinque e vola in vetta. Poi arrivano i pareggi e le sconfitte, due in casa: per la formazione di Giancarlo Cadè il caricatore risulta vuoto. Tuttavia, l’esito del campionato passa in secondo piano: si registra l’abbandono storico del Presidentissimo, l’amatissimo Renzo Barbera. Dieci anni intensi, caratterizzati dalla sua signorilità: una promozione e due finali di COPPA ITALIA che bruciano ancora ma, soprattutto, tanto cuore Rosanero. Il nuovo Presidente è Gaspare Gambino, al comando per tre stagioni. La prima, coincide con il lancio del nuovo logo, il più amato di sempre. La testa d’Aquila risulterebbe tremendamente moderna anche oggi e sono passati quarant’anni. Spicca su un cerchio bianco, rivolta verso il marchio della Pouchain. Risultato: un completino unico, che non dimenticheremo mai.

Dario Romano
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PRENCE

Vecchi tempi, ma gli echi li sentiamo ancora. Purtroppo, sono rimasti in pochi, tra coloro che hanno visto Helge Bronée giocare ed impazzare (e pure impazzire, anche fuori dal campo) nel Palermo. Ci racconterebbero di un autentico fuoriclasse, bizzoso e allo stesso tempo ardimentoso. Raimondo Lanza di Trabia se ne innamorò, come capiterà a tutti gli astanti della Favorita. Dalla fredda Danimarca alla calda Palermo, il passo può sembrare lungo ma è anche breve: come diceva Johan Cruijff‘i danesi hanno uno spiccato spirito di adattamento, inoltre imparano presto le lingue e ciò rende tutto più facile’. Parole sante, Olandese Volante. Galeotta fu la partita Nancy-Grenoble: tra il Principe e l’amletico ‘Prence’ è colpo di fulmine. Un viaggio di piacere del nobile in Francia, si trasforma in uno sfizio da togliere: d’altronde, la classe non è acqua per entrambi. Raimondo, non se ne pentirà. Ed il Palermo ‘rischia’ di far la voce grossa. Ma è un fuoco di paglia: il progetto della ‘Juve del Sud’ tramonta per la dipartita improvvisa di un uomo tormentato. Si rompe anche il suo giocattolo preferito, quella valvola di sfogo che, nel suo piccolo, ha fatto la storia del calcio: un uomo nudo, la vasca da bagno ed un modo nuovo di concepire il mercato. Non dico altro. Perché, a questo punto, gli aneddoti si sprecherebbero: fiato sprecato. Sul personaggio, ho già detto in passato. Su Bronée, invece, qualcosa da dire resta. Immaginate una sorta di Ibra nel mondo che c’era una volta. Quello spirito vincente che prende il sopravvento: contro tutto. A costo di rimetterci il posto. Helge le ha provate pure tutte: si è cimentato in ogni ruolo, tranne in porta. In campo dava il massimo, dimenticando un concetto semplice semplice: che il calcio, innanzitutto, è un gioco di squadra e che quelli come lui potevano fare la differenza, a patto di saper aspettare il momento giusto. Ma la pazienza, in quella capa bionda, non alberga: neanche quando gli capita l’occasione della vita. Prima la Lupa, poi la Vecchia Signora: qualche lampo, mai il colpo di fulmine che colpì il Principe. Essere o non essere: è questo il dubbio che il biondo non ha risolto. Un biscotto danese da gustare ogni tanto, oppure un ribelle irrequieto, dallo spirito indomito. Capace comunque di lasciare il segno. Perché, non dimentichiamo: Bronée la mette per ben 55 volte in massima serie. E allora concludiamo: c’è del buono, in Danimarca.

Dario Romano
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LACRIME DI GIOIA

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 2000-2001

I dettagli sulla felicissima conclusione di questo campionato, che ci ha sorriso al fotofinish, potrebbero riassumersi in una favoletta. Magari da raccontare, prima della buonanotte, ai nostri nipotini. Succede che Maggiolini realizza la rete decisiva contro l’Ascoli già al sedicesimo, in una Favorita stracolma e ansiosa. La paura si sente eccome, perché a volte, il popolo Rosanero, certe botte le ha prese proprio in zona Cesarini. Eppure l’aria alle falde del Pellegrino era diversa. Anche il cielo, che nella mia memoria da tifoso sembrava cupo, anche se bello azzurro, il giorno del punto più basso raggiunto sul campo. Era Palermo-Battipagliese, un epilogo nero tramutato in rosa perché il Palermo fu ripescato. I marchigiani hanno le stesse strisce dei campani, bianconere. Vuoi vedere che portano male. La radiolina emette segnali scoraggianti, per la torcida: rigore per il Messina. Sembra l’inizio di un incubo, invece sarà apoteosi, con capitan Cappioli a prendersi la curva e tutti noi a piangere, increduli, lacrime di gioia. Altro che smartphone e tv. Certe emozioni, si vivono soltanto allo stadio. La parata di Sansonetti su Vittorio Torino e l’Avellino che passa in vantaggio. Da infarto. Noi all’Inferno e poi in Paradiso: saran viaggi contrari, per i peloritani. Queste sì, che sono emozioni. E promozioni. Il salto di categoria era l’obiettivo stagionale, come spesso accade, quando il Palermo è in SERIE C. Le premesse sono più che buone. Uno squadrone, quello messo a disposizione da Franco Sensi ad un Giuliano Sonzogni chiamato a realizzare i nostri sogni. Manchiamo dai cadetti da quattro anni: decisamente troppi. La rosa è ampia e abbonda in qualità ed esperienza. Per sintetizzare, basterebbe citare Massimiliano Cappioli e Davide Bombardini. Ma c’è davvero tanta, troppa roba. In porta, Vicè Sicignano col cuore in mano e l’abbondanza di stanza in ogni reparto. Da Daniele Di Donato a Cristian La Grotteria, da un giovanissimo Ciccio Brienza a Firmino Elia, l’attaccante di categoria. L’argentino stimola di più la fantasia: il Gaucho è di origine italiana, ma nei piedi è anche Caballo di razza. Sono i suoi soprannomi, ma il secondo mi attizza di più. Succede lo stesso alle signorine, perché il virgulto è di bell’aspetto. Per me, sarà Cavallo pazzo: valeva il prezzo del biglietto e ti faceva impazzire. Inizia in sordina, poi prende confidenza ed emerge la classe, in tutto il suo splendore. Da la Plata alla Favorita, si rinnova una tradizione: qui, il tango, è ben accetto. Ma attenzione, il giocatore incanta solo a sprazzi: frizzi e lazzi rimandati, per due miliardi comunque ben spesi. Troppe botte e la caviglia fa le bizze. Si parte alla grande, fino alla sublimazione di un derby dove l’Aquila sbrana il Catania. Manita storica, boati a suon di reti. Una scorpacciata, che fa pensare ad una passeggiata. E arriva Torre Annunziata: una lampiata. Sconfitta anche a L’Aquila, più pesante l’1-2 col Messina ed è resa anche ad Andria. Soffre il Palermo, che nel girone di ritorno torna grande, sfiorando anche il clamoroso al Cibali: colpisce BombaApa fa pari e patta. Dalla Sardegna in poi, segnali scoraggianti. La Torres si impone con tre reti e Godeas fa godere il Messina, sempre più vicina. I Giallorossi son forti, meritevoli quanto i Rosanero del salto in alto. Per loro, è soltanto rimandato di pochi giorni, per via degli spareggi. Da noi, la paura monta e avviene la scossa: via Sonzogni, in panca si siede Ezio Sella. Mancano due giornate, bisogna vincere a Nocera, prima di una festa tanto attesa ma che non sarà proprio scontata. Missione compiuta e l’abbiamo scampata. Davvero bella. Spazio alle lacrime, perché non ci potevo credere.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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L’EVOLUZIONE

Undici loghi, per sempre. Dal 1920 ad oggi, tanta acqua sotto i ponti. Refusi compresi, a partire proprio dalla prima realizzazione. Voluta dal Presidente Valentino Colombo, che omaggia il Racing F.B.C. riportandone i colori. Si riparte dopo la Grande Guerra, in tutti i campi: per il calcio, non poteva essere altrimenti. Lo stesso per il Palermo, che rinasce grazie al cambio di denominazione del piccolo club cittadino. Colombo, sotto il logo, fa riportare la dicitura ‘Costituito nel 1898’. La scritta persiste nella versione seguente, che almeno è a tinte Rosanero. Ma, come sappiamo, lo statuto parla chiaro: il sodalizio viene fondato il primo giorno di Novembre nell’anno del Signore 1900. Rendiamo grazie, soprattutto nel 1907: per la prima volta, ci si sposa con la combinazione cromatica che ameremo per tutta la vita. Nella gioia e nel dolore. La pietra sopra, l’abbiamo messa da un bel pezzo su un abbaglio: il rossoblù delle origini, non ha nulla a che vedere con i colori del Portsmouth FC. Da Albione, Ignazio Majo Pagano porta un’idea e la mette in pratica: ma non ruba nulla. Forse, perché il rosa salmonato del Pompey non può essere mica un caso. Il grande passo, è merito di Giuseppe Rizzo: un viaggio nel futuro. Quel rombo attira l’occhio: il pallone, fa il resto. Il risultato è fuori dal tempo: siamo appena nel 1929. Una precisazione è necessaria per la realizzazione successiva: quando il Palermo, sospinto dalle reti del lungagnone Carlo Radice, raggiunge la massima serie. L’aquila che fa bella mostra sulla maglietta, non è questa che vediamo protesa in volo. Nel ’32, compare un rapace di stile imperiale ispirato all’emblema comunale. Il logo ufficiale, il quarto parto della serie, è meno maestoso. Secondo altre fonti, pure postumo: riconducibile a Francesco Paolo Barresi, risalirebbe al 1937. Il periodo bellico è un bel guazzabuglio anche per il Palermo, che rinasce dalle sue ceneri come altri gloriosi club di un continente messo a ferro e fuoco. Era cambiato tutto, con il fascismo: che impone nomi e colori. Un pugno in un occhio, quel giallorosso. Di buon auspicio, il ritorno dell’aquila, resa reale dal barone Stefano La Motta, il neo presidente che fa le cose in grande. Impossibile non notare il particolare: S.P.Q.P. che sta per Senatus Populus Que Panormitanus. Giù il cappello, per lo stemma più longevo del gruppo: dal 1947 al 1979. Poi, è standing ovation. Si chiude l’era del ‘Presidentissimo’ Renzo Barbera e si entra nell’età moderna pallonara. Soprattutto, si comincia a far davvero l’amore con il calcio e non soltanto per il successo inaspettato nel Mundial spagnolo. In Italia, la riapertura delle frontiere fa nascere il campionato più bello del Mondo, mentre a Palermo è la fine: di tutto. Sarà che il vero tifoso è più di un vero amico: si vede nel momento del bisogno. Palermo ascensore e, nonostante un plotone d’eccezione, non sale mai al primo piano, ma scende spesso fino al terzo. Nel baratro che l’attende, la famigerata radiazione, resta una fioca luce. Il barlume è opera di un designer che fa centro: Piero Gratton ci regala un logo che definire un semplice capolavoro risulterebbe riduttivo. Ed il plauso, proviene da ogni dove: il lupetto della Roma, il galletto per la Bari, il delfino del Pescara e non solo. Fino alla testa d’aquila rivolta a destra che fa sfoggia nel completino azzeccato della Pouchain. Un logo vintage, ma tremendamente moderno. La rinascita è simboleggiata da uno scudo: la testa del rapace volge lo sguardo orgoglioso a sinistra, stavolta. Il taglio col passato, è netto. Le ali spiegate del marchio che caratterizza la società passata a Giovanni Ferrara e Liborio Polizzi, riportano più che altro all’artistico. Il risultato è discutibile, come i tempi che corrono. Le vacche magre, tuttavia, ci regalano un sogno: quando si ritorna al passato, con il simbolo comunale a farla da padrone. Ad imperversare, anche il ‘Palermo dei picciotti’. Il logo è quello che meno amo, ma al cuore non si comanda. Poi, è rivoluzione: in tutti i Sensi, compreso Franco. Si apre l’era targata Zamparini ed il Palermo entra nel nuovo millennio quatto quatto e poi col botto: un decennio così non l’avevamo mai visto, accompagnato da quel brand uscito dallo studio di Ferruccio. Il buon Barbera realizza un’aquila dorata così bella che potrebbe volare anche da sola. Per il Daily Mail, c’è da rifarsi gli occhi. Purtroppo, sappiamo tutti com’è andata a finire: dall’Europa alla terza finale di coppa, fino allo smantellamento coatto ed al fallimento. Hera Hora si presenta con un crest discutibile. Di primo acchito, fa storcere il naso: a molti, ma non a tutti. Compreso il sottoscritto, che sembra averlo già visto da qualche parte. La somiglianza con il simbolo dell’Istituto LUCE istituito dal Duce, è disarmante. Nulla di sospetto, per carità: ma nonostante la direzione opposta della testa d’aquila, la foggia sembra la stessa. Sarà una coincidenza. Una possibilità, invece, riguarda il cambiamento epocale che ci apprestiamo a vivere. L’avvento del City Football Group potrebbe coinvolgere anche l’aspetto del logo che ha accompagnato le notti magiche e le gesta degli eroi di Silvio Baldini. L’opera di Danilo Di Muli, controversa anche per altri aspetti, potrebbe finire racchiusa in un cerchio. Per il colosso dello sceicco, una sorta di marchio a fuoco. Ad incendiare le nostre aspettative: oro, incenso e Mirri. Ho accompagnato il viaggio nel tempo con le varie denominazioni del sodalizio: un intervento forse invasivo, ma doveroso. Spero risulti altrettanto esaustivo. L’evoluzione è anche storia e l’universo non ha mai smesso: di essere creativo.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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INDISSOLUBILE

Tonino De Bellis, US PALERMO

Un legame stretto, di quelli che non si sciolgono. Nativo di Taranto, ma palermitano d’adozione, Tonino De Bellis rappresenta la colonna, la roccia dei Rosanero. Il monumento (vi rimando all’articolo a lui già dedicato e così intitolato) arriva nel 1957 e fino al 1961 disputa ben 133 gare. Difensore arcigno, ottimo in marcatura, porta ancora sulle gambe i segni delle botte, date e ricevute. Dopo tre anni al Venezia, torna al Palermo nel ’64, per altri 124 incontri di campionato: contiamo 257 apparizioni in totale. Una sola rete a referto, ma in COPPA ITALIA. Era difficile vederlo in avanti, all’avventura. La sua giungla, dal cerchio di centrocampo in giù. Anche come allenatore, ha diviso il suo legame con la società, ma in due spezzoni. Il primo nel 1975-1976, subentrando a Benigno De Grandi. Si dimetterà al termine del campionato, ma sarà ancora in sella per quello seguente. Il secondo nel 1995-1996, l’anno del Palermo dei picciotti, quando affiancò Ignazio Arcoleo, sprovvisto di patentino. E Tonino, da Palermo, non è più andato via.

Dario Romano
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IL MONUMENTO

Tonino De Bellis, US PALERMO

Scolpito nella roccia. Tonino De Bellis è il nostro Burgnich. Un baluardo difensivo d’altri tempi. Quelli che facevano della propria area un territorio di caccia. Segui il talento di turno e gli metti il francobollo che gli resterà incollato per una settimana. Lividi targati De Bellis. Spariranno, ma quando lo affronterai di nuovo, il Palermo, torneranno. 257 presenze e la presenza costante nelle foto d’epoca, esclusa la parentesi veneziana (al suo posto, il futuro Tarcisio nazionale, per una sola stagione). Vai a rinunciare ad uno che ci mette la museruola, ai tanti cani che abbaiano. Provate ad immaginarvi nei suoi panni, contro gli squadroni di allora: spalti gremiti, tifo assordante e la consapevolezza che ogni errore uguale sconfitta. Sputi e provocazioni sussurrate all’orecchio con colpi proibiti assortiti e tanto, tantissimo mestiere. Mi vedrei come un legionario chiuso a testuggine e pronto ad infilare il gladio nei pochi spazi a disposizione: muscoli, elevazione, tempismo ed esperienza le vere e sole armi a disposizione. Una sola telecamera, niente VAR e allora, poi, tutti amici e nemici come prima. Tutto molto scorretto? Lo sono molto di più le sceneggiate dei Rivaldo e Ronaldo, la spintarella e tutti giù per terra. Era questo, il calcio di Tonino. Quello di una volta, che ti faceva vincere con l’etichetta del catenaccio e contropiede. Altro che tiki taka o guardiolismo. Indossi una maglia Rosanero, con un numero che non hai scelto, senza nome e cognome e ne fai una seconda pelle. Onori quei colori senza scritte alcune, che tra qualche anno vedremo pure lampeggiare. Ma, per De Bellis, il Palermo è stato soprattutto Palermo. Ne ha fatto la sua casa, quando poteva bastare anche un arrivederci e grazie. E a brillare restano le gesta e foto come questa. Un monumento. Scolpito nella roccia.

Dario Romano
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IL CAMMINO DI SANTIAGO

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1958-1959

Back row L-R: Benedetti, Latini, Perli, Malavasi, Pontel, Sereni.
Front row L-R: Vernazza, Azzali, Piovanelli, De Bellis, Sandri.

SERIE B
2th / promosso in SERIE A

La potenza, ma anche tanto controllo. Al River PlateSantiago Vernazza ha affinato le sue doti: ha imparato che la pelota si gioca a terra, si accarezza e, quando occorre, bisogna sculacciarla a dovere. Non si offenderà. Di tanta grazia rendiamo grazie e torniamo in SERIE A. Una cavalcata che il Cavaliere della Pampa conduce da par suo, a spron battuto. Ben diciannove botte per diciotto vittorie, uguale promozione. Ghito prende questo Palermo per mano e ci mostra il Cammino di Santiago. Per amici, parenti e conoscenti, sarà sempre Santiaghito. Per i tifosi, il giocatore Rosanero del secolo. Ma il resto della cavalleria, non resta mica a guardare. De Bellis, Sereni, Benedetti, Malavasi, Biagini, Sandri: una corazzata. C’è anche il pacco annesso: Walter Gómez in patria è considerato un campione, ma alla Favorita sembra un bidone. Non si è vista la garra uruguagia, ma neanche la classe appresa a la Plata. Da Montevideo a Buenos Aires è crack, mentre a Palermo soltanto un gran flop. Arriva con un anno di ritardo, l’altro pacco: ma questo, all’apertura, fa proprio boom. Le cannonate partono dalla seconda giornata, per un pirotecnico 5–4 al Lecco. Suona anche un campanello d’allarme: al debutto tre pappine dalla Simmenthal-Monza, rimediate anche a Bergamo. Il 3–2 con l’Atalanta fa meno rumore: gli orobici chiuderanno al primo posto, a quota 51, due punti in più del team guidato da Vycpálek. Sono forti. Cesto registra la difesa e non le prendiamo più: spesso basta una sola rete per la vittoria, mentre al Parma va proprio male (7–1 il finale): torna dalla Sicilia con un bel cappotto, appesantito da una memorabile grandinata. Il resto della scalata, una passeggiata: sotto il segno di Vernazza, col cuore in mano, ecco il Cammino di Santiago.

Dario Romano
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MOZZAFIATO

IL QUINTETTO

Luigi De Robertis, Fulvio Mosca, Metin Oktay, Fernando, Santino Maestri
US PALERMO

Basta un attimo: un semplice click ed è storia. Cinque giocatori in posa, col sorriso a prendere il sopravvento. Sullo sfondo, gli spalti vuoti del nostro teatro dei sogni e quel promontorio da scenario mozzafiato. La stagione da ricordare è d’eccezione: la ’61-’62, quando alla Favorita puoi ammirare le gesta del ‘Palermo miracolo’Santa Rosalia non la si scomoda: a confezionarlo, l’ottavo posto, il Segretario Totò Vilardo e quell’undici da incorniciare. Le riserve, non stanno a guardare: c’è spazio per tutti, quelli bravi e quelli brutti. Nel senso ‘buono’ del termine: in quel Palermo, abbonda il talento, ma oltre al fioretto compare la clava. Necessaria, per una neopromossa che nella massima serie ci vuol rimanere. Finirà con lo stupire, tra vittorie leggendarie, parate straordinarie ed episodi da raccontare. Si comincia da sinistra, dove Luigi De Robertis fa bella mostra: l’ala giusta per le alte latitudini. Due stagioni in Rosanero, dove assaggia per la prima volta l’ebbrezza della SERIE A. Più di cento presenze nei Galletti baresi, prima del salto in alto dalla cadetteria: giunge in Sicilia e poi in Emilia, con la maglia del Modena. Per lui, un futuro curioso negli States: nato per volare. Fulvio Mosca guarda in alto, verso vette soltanto sperate. Tradisce le attese, le promesse di una carriera che è proprio all’apice. Protagonista della promozione, riduce le presenze ad appena dieci gettoni. ‘Il nuovo Pelé’ si rifarà tra le mura amiche. Il quel di Trieste, oltre all’alabarda, si prende la fascia: di capitano. Il Re, ma senza corona, è il turco Metin Oktay. Un campione, tra mille trucchi e pochi inganni. I numeri col pallone la specialità della casa, ma il campo a Palermo lo vede poco. Un peccato, perché la stella del Galatasaray era un autentico fuoriclasse dentro il rettangolo di gioco e proprio fuori di testa nel quotidiano. In patria, un Sovrano, idolatrato ancora oggi. La sua tragica scomparsa è l’amaro che subentra al dolce ricordo di quel Palermo, sorretto dalle parate di un mostro di nome CarloMattrel si guadagna la Juve e la Nazionale, neutralizzando rigori e conclusioni neanche fosse un extraterrestre. E dire che la schiena fa le bizze, prima che ci si mettesse pure un tragico destino. Carletto, come il turco, è vittima di un incidente stradale fatale. Galeotto fu l’aereo, invece, per Fernando Puglia. Che durante il viaggio alato incontra HH e ne dribbla l’offerta. Helenio non ci sta, lo schernisce e le prende. L’Internazionale è battuta dalla sua rete e poi arrivano le scuse per un gesto irriverente. Il brasiliano è forte: è qui la festa, ma non basta. Perché si vince anche altrove, dove solitamente se le prende. Un bel quattro a due al Comunale e le Zebre espugnate. Che squadrone, quel Palermo, con Tarcisio BurgnichBruno GiorgiGiorgio SereniEnzo BenedettiAlberto MalavasiRune Börjesson e Santino Maestri. Il biondo che chiude il quintetto della foto farà meglio al suo ritorno, dopo un breve passaggio alla Sampdoria. Due reti appena e la doppia cifra nella seconda esperienza in maglia rosa. Ma non è più un Palermo da ottavo posto: quello che era passato in panca da Leandro Remondini ad Oscar Montez e, dopo un inizio balbettante ed un prosieguo promettente, ci suonò uno spartito scoppiettante. Musica, per le nostre orecchie e gioia per gli occhi. I sogni son desideri, ma anche i ricordi fan battere forte il cuore. Rosanero, in questo caso, con la foto mozzafiato.

Dario Romano
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A PICCOLI PASSI

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1970-1971

Back row L-R: Vanello, Troja, Bercellino, Reja, Ferretti, Ferrari.
Front row L-R: Bertuolo, Sgrazzutti, Alario, De Bellis, Lancini.

SERIE B
13st

L’avvio, è da tregenda. Si parte da Massa, in Toscana, con questa formazione che vediamo schierata allo Stadio degli Oliveti. Una rete per parte, un pari e patta come alla Favorita col Monza. Inizia così, per il Palermo, il campionato di SERIE B edizione 1970-1971. Che da Ottobre non lascia adito a speranze: si rischia grosso, con un filotto senza vittorie che perdura fino alla nona giornata. Il perentorio 4-0 ai Galletti scaccia parzialmente fantasmi e streghe. Non si vince e non si perde, si segna poco ma si subisce altrettanto. La sconfitta esterna col Cesena è parzialmente cancellata la domenica successiva. Un’affermazione di misura contro l’Arezzo, che è soltanto la seconda del girone d’andata. Si cade ancora in casa, al cospetto della Reggina, sempre a causa di un golletto: di troppo, anche per un gentiluomo come Renzo Barbera. Che fa la scelta giusta, per il presente e per il futuro: anche immediato. In panca, salta il catanese Carmelo Di Bella e subentra il vice: Benigno ‘Ninetto’ De Grandi. E la squadra si trasforma: si espugna la Puglia. Col Taranto, il giusto giro di boa. Si riparte battendo la Massese e trionfando in Brianza: due a zero al Monza. I Rosanero, hanno imparato a vincere, pur lontano dalle mura amiche. Un fuoco di paglia, ma a piccoli passi poco male, perché si risale. Senza far male, ma uscendone anche indenne: il pari arriva per ben sette volte, con tre reti realizzate e altrettante subite. Lo spettacolo latita: a non mancare, il segno della X, almeno fino alla disfatta rimediata in Puglia, stavolta non amica. La debacle col Bari è cruciale: il Palermo è punto nell’orgoglio e gioca un altro calcio. Tre successi e quattro pari lo mettono al sicuro dalla zona pericolo, ma soprattutto infondono nei rosa maggiore fiducia. La Reggina si conferma bestia nera alla penultima, ma quando i giochi sono già fatti. L’ennesimo pareggio contro il Taranto è il commiato al campionato di una lumaca che De Grandi farà tornare aquila. Il tecnico è un ex: dal ’51 al ’57, con intermezzo lampo alla Sampdoria. Un mediano vecchio stampo, abile in copertura ma dal piede educato. Non mancano i suoi assist, come il vizietto del goal. Si prende due soprannomi: nel bene e nel male, vuol dire che hai fatto rumore. Nel suo caso, per ragioni lusinghiere. Aldo Boffi, celebre attaccante dei Rossoneri pre guerra, lo chiamava Fiordaliso: fuori dal terreno di gioco, Ninetto sprizzava eleganza. Durante la sua militanza al Milan, per Gianni Brera era ‘il quarto svedese’: dopo il Gre-No-Li, c’era De Grandi. Il Palermo lo preleva proprio dai meneghini e lo promuove come primo allenatore, colto dalla disperazione. Una rivelazione: mattone dopo mattone, la luce e fuori dal burrone. Fino al colpo grosso. Le premesse non mancavano: ventuno pareggi, un’infinità, ma appena nove sconfitte, non tante come quelle delle tre promosse. MantovaAtalanta e Catanzaro sanno soprattutto pungere. Un dettaglio da aggiungere nel bagaglio: ci vuole un mostro. Ci sarebbe già: si chiama Enzo. Ci farà fare un bel giro, a bordo della sua Ferrari. Dai piccoli passi al salto in alto: l’ultimo, fino al nuovo millennio.

Dario Romano
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L’ULTIMO GATTOPARDO

Il decennio che lascia il segno: gli anni ’70, tutti d’un fiato. Da lasciarci a bocca aperta. Semplicemente, l’era Barbera. La morale, sempre quella: gigantesca, con tanto di pugno allo stomaco. Altro che farfalle: il senso di profondo rispetto che ti assale e ti fa provare amore per il Presidentissimo che non hai mai conosciuto: è un sentimento ricambiato. Ci ha portato a lezione, condotti con una mano nella mano e con l’altra nel cuore. Cuore Rosanero, autentico e tremendamente sincero. Renzo valorizzò giovani siciliani come TrapaniArcoleoTrojaVulloBorsellino ed essendo appassionato di altri sport fece del Palermo una polisportiva, come l’illustre e nobile, in tutti i sensi, Principe Raimondo Lanza di Trabia. Un personaggio caratterizzato da uno stile d’altri tempi e connotato dall’amore verso i colori del club, specchio riflesso di una città intera. Il tutto a sue spese, andando anche oltre le proprie possibilità. Come la squadra stessa, promossa e retrocessa, ma capace di raggiungere due finali di COPPA ITALIA con l’etichetta di cadetta. Quella coppa maledetta. Scippata e rubata oppure rubata o scippata poco importa. Gettata comunque al vento, perché a volte il cuore non riesce ad andare oltre l’ostacolo. L’ultimo dei Gattopardi ci ha raccontato, con le lacrime agli occhi, che cosa non avrebbe mai dimenticato: il pianto dei tifosi che rientrano moralmente a pezzi, sul traghetto della speranza e dell’amarezza. Dario Mirri ha sempre dichiarato che al primo posto, nel Palermo di Hera Hora, avrebbero contato soprattutto le certezze morali. Abbiamo visto di tutto, salendo fino in paradiso e scendendo nel baratro dell’inferno. Adesso, ci tocca una sorta di purgatorio, ma con base solide come mai dalle nostre parti. Dove vincere non sarà l’unica cosa che conta. Buon sangue non mente, ovviamente. Ma quanto ci manchi, Presidente.

Dario Romano
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IL PALERMO DEI PICCIOTTI

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 1995-1996

Berti, Biffi, Iachini, Scarafoni.
Un asse verticale recitato come una filastrocca, condita da una banda di picciotti. Palermitani DOC, compreso l’allenatore. Il tutto scaturito dalle classiche nozze con i fichi apparentemente secchi, ma dentro con tanto succo. Frutti della necessità e del caso, poiché non si è seminato nulla. La SERIE A manca da un quarto di secolo, ma sembra l’annata buona. Non è un obiettivo, non può esserlo. Non era un calcio per poveri. Gli anticipi ed i posticipi sono come un’alba, preludio del tramonto. Nel mezzo, tanta roba. Con Ignazio Arcoleo, infatti, abbiamo scoperto cos’è la zona. Era la moda del momento: bisogna correre, attaccare e difendere tutti insieme. Il Mister, con il Trapani, ha fatto le prove. Lo vediamo spesso ospite in TV, come opinionista. Vuole il Palermo e aspetta, con impazienza, che il Palermo lo voglia altrettanto. Un matrimonio che s’ha da fare e si farà. Siamo tutti invitati e non manchiamo all’appuntamento: entra pure chi non ha il biglietto. Sempre la stessa camicia, che porta bene, ma soprattutto una lepre, anziché un coniglio, nel cilindro. Si chiama Tanino Vasari. E lo spettacolo può cominciare. Le vittorie contro Parma e Vicenza e la sconfitta contro la Fiorentina, presentano uno scenario da CHAMPIONS LEAGUE, altro che COPPA ITALIAFrancesco Guidolin, a TGS, ricorda il boato assordante della Favorita: la deflagrazione della bomba targata Ciccio Galeoto. Quando Zamparini chiama, la memoria accompagna la risposta. I Rosanero volano: brividi e vertigini, dal 3-2 alla Fidelis Andria, al 2-1 contro la Salernitana. La prima, in casa contro il Cesena, ci ha fatto capire che sarà un romanzo: il pareggio allo scadere con il portiere Gianluca Berti all’attacco, le serpentine del Vasari e la testolina di Giancarlo Ferrara, non ci hanno soltanto fatto piangere di gioia. Io, quel giorno, ci ho fatto l’amore, con la mia squadra del cuore. Ma è un tripudio collettivo: forse, un giorno, avremo uno stadio tutto nuovo, al coperto. Ma non credo che la gran massa biancorosanera, anche oggi, pur di vedere un CR7, si accolli carrettate d’acqua prima, durante e dopo la partita. Palermo-Pistoiese è un atto di fede. Ultima del girone d’andata, notturna ad Ancona (una bestiaccia nerissima, negli anni ’90 faceva rima con sconfitta ancora) ed è record di vendite per i decoder. La prima di quattro ko e quattro pareggi. Da chi non salta è catanese a tutti giù per terra. Con Ninetto Barraco, si riprende la retta via: un leone che sa come ruggire, ma ormai la Savana ha poche prede. Roviniamo la festa al Verona: botte da orbi, per finire proprio alla palermitana. A schifiu. Da loro è solo rimandata, ma da noi la festa è proprio finita. Il Palermo dei picciotti ha rappresentato il punto più alto e ha sfiorato il punto più basso, secondo solo alla radiazione, per la mia generazione. Un bel giocattolo, che doveva rompersi, per forza. Nel 2004 abbiamo visto scene di ordinaria follia: trent’anni ai margini ed uno squadrone che si apprestava a far tremare l’Italia pallonara. Ma nel 1996 ho visto e sentito cose che voi ‘tifosi’ non potreste proprio immaginarvi. Fermo con la moto al semaforo di via Notarbartolo, è rosso. Accanto a me, due ragazze in scooter. Cominciano ad intonare: ‘Ignazio Arcoleooo…’. Non scatta il verde. Parte invece un coro da stadio. Dalla gente in auto, da chi attraversa la strada. Un semaforo tutto Rosanero.

Dario Romano
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SERIE B
7st

Back row L-R: Berti, Ferrara, Di Somma, Di Già, Tedesco, Biffi.
Front row L-R: Vasari, Pisciotta, Caterino, Galeoto, Iachini.

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PER UN PUNTO

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1959-1960

Viene ricordato come il campionato del caso Cappello, giocatore del Genoa colpevole di illecito sportivo. Ben diciotto punti di penalizzazione per il Grifone, che ovviamente finisce ultimo. La cappellata, purtroppo, è anche Rosanero. Si capisce già dai risultati rimediati a livello internazionale: la COPPA DELLE ALPI, una novità ben gradita e altrettanto onorata, ci vede prevalere sugli svizzeri del FC Zürich, ma la MITROPA è una corrente alternata targata Diósgyőri VTK. Gli ungheresi vincono in Sicilia all’andata e perdono in casa al ritorno. In SERIE A, si chiude con due punti in più dell’Alessandria, ma purtroppo uno in meno rispetto all’Udinese. Un vero peccato, poiché, in zona retrocessione, la classifica è cortissima. In alto, trionfa la Juve, al suo undicesimo titolo. Stacca la Fiorentina di otto lunghezze, a quota 55. Per il Palermo, ventisette punti realizzati a fronte di sei vittorie, quindici pareggi e tredici sconfitte. Il team allenato da Čestmír Vycpálek disputa tre trasferte nelle prime quattro giornate: si rimedia soltanto un punto all’Olimpico, contro la Roma. Alla seconda, cade la Sampdoria alla Favorita. Insomma, non ci si strappa i capelli, ma bisogna mettersi gli occhiali. Infatti, arrivano quattro risultati a reti bianche e due scoppole rimediate a Bologna e Firenze. Felsinei e Viola asfaltano i Rosanero con i punteggi di 3-1 e 5-0. La sconfitta seguente subita a Bergamo, di misura contro gli orobici, ci consegna una statistica disarmante: Vernazza & Company la mettono dentro una sola volta in ben sette gare. Il cambio in panchina (a Cesto subentra Eliseo Lodi, ex mediano nostrano) porta dei benefici alterni, rivelando un Palermo piccolo contro le piccole e grande al cospetto delle grandi. All’ombra del Pellegrino, cadono Roma e Milan, con i Bianconeri, già scudettati, che strappano un punto all’atto conclusivo del torneo. Un epilogo amaro, considerando il valore dei giocatori: soprattutto coloro che, nella foto, stanno in piedi. Da Anzolin a Tonino De Bellis, dal recentemente scomparso Malavasi a Benedetti. Ci ha provato, Ghito, che va a segno nove volte senza saltare un match. Termina qui, la sua splendida avventura in maglia rosa. Sta per indossare la casacca rossonera: si confermerà per quello che era. Santiago Vernazza, attaccante di razza.

Dario Romano
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SERIE A
16th / retrocesso in SERIE B

Back row L-R: Grevi, Anzolin, Vernazza, De Bellis, Malavasi, Benedetti.
Front row L-R: Arce, Sacchella, Greatti, Valadè, Carpanesi.

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TSUNAMILONGO

SASÀ CAMPILONGO

Via del mare, Lecce. Tira una brutta aria, per i Salentini. Ma l’onda della contestazione non è nulla, in confronto al disastro targato Campilongo. Il Palermo, avversario di turno, non se la passa meglio altrettanto. Insomma, il gemellaggio vira verso un confronto che potrebbe scadere nell’anonimato. Della serie, non facciamoci del male, a Via del mare. Ed invece, per i Giallorossi, arriva uno tsunami. Sasà Campilongo è il pezzo pregiato di un mercato sontuoso: i Rosanero, malgrado tutto, puntano in alto. Noi ancora non lo sappiamo, ma sono le ultime cartucce. Il piatto piange da un bel pezzo: qualche colpo ed ecco che non è più vietato, sognare. Questione di tempo: l’anno dopo, il sogno di una notte di fine estate si protrarrà fino al nuovo anno. Poi, il ritorno all’inferno. Che il 23 Ottobre 1994 spalanca le sue porte, intanto, al malcapitato Lecce. Il Paradiso, invece, è tutto per l’attaccante del momento: per una settimana buona, la ribalta è tutta sua. Non poteva essere altrimenti, dopo una manita servita con tanto di settebello. Il racconto inizia da una parata per parte: si gioca a viso aperto e Sasà spreca. A volte, in trasferta, un’occasione del genere capita una volta sola: a volte. Mareggini e Gatta vengono impegnati a più riprese, ma il primo a capitolare è il padrone di casa: Caterino mette in mezzo, dove la punta svetta ed infila di testa. Siamo appena al quinto: anche l’incrocio, nel frattempo, aveva avvertito l’estremo salentino che le gatte da pelare non sarebbero mancate. Infatti, per Petrachi, il tempo di aggiustare la mira non mancherà. Il pari di Biondo è un fuoco di paglia: Gaetano Salvemini non si agiti. Anche dalla panca si avverte che la giornata è quella giusta. Due minuti e Sasà impatta da uno spiovente che, stavolta, arriva da destra. Per colpire sull’invito dello scatenato Gianluca, non deve neanche saltare. E Gatta, neanche ci prova. Dieci minuti ancora e se lo vede arrivare tutto solo, quel satanasso indemoniato. Infilato di brutto, il Lecce si scioglie, mentre il Palermo cavalca un’onda sempre più grande. Tsunamilongo chiude il primo tempo sgomitando pure troppo sul povero Ricci, suo marcatore deputato e immolato ad una causa ormai persa. Ma la parte lesa sta in porta: la dinamica dell’azione, che porta ancora al goal, la rivedremo ad altri e ben più alti livelli al Franchi, quando Amauri infilzerà la Viola. Ma torniamo in Puglia, una buona decina d’anni prima. Piovono reti, per i Lupi. Puniti e traditi da Petrachi: il leccese di nascita è immarcabile. Ne dribbla due ed entra in area: ha aggiustato la mira, ma non si sa mai. Sembra Maradona, si avvicina per sicurezza alla porta ed è cinquina. In generale, non nel particolare. Che riserva l’acuto anche ad Antonio Rizzolo, che ha tutto il tempo di controllare, aggiustare il pallone e scegliere la sua destinazione: è la sesta rete, prima dell’atto finale. Che spetta al protagonista assoluto di una giornata soleggiata, destinata ad entrare nella storia: la statistica, nel calcio, conta, soprattutto quando arriva il botto. Il rumore è forte quanto il malumore locale, quando Campilongo completa il filotto: a Lecce, quell’aria brutta si è trasformata in qualcosa di peggio. Il tiro dal limite di Sasà chiude un conto da pallottoliere: sette reti, possono bastare. Cinque, portano la firma del numero nove. Ne parleranno in ogni dove, compresi i telegiornali nazionali. Poi, torna tutto come prima: anzi, peggio. Per il Lecce, la via per l’inferno è già lastricata: finirà ultimo, fanalino di coda. Per il Palermo e per Campilongo, il ritorno all’anonimato in campionato. Dodicesimo posto, a più tre dalla zona retrocessione. E le polveri bagnate del napoletano: che dopo aver cambiato casacche a iosa, esplode a Caserta ed implode in Sicilia. La media in laguna non è la stessa che in Campania, ma dall’attaccante che arrivava dal Venezia ci si aspettava una dote più confortante. Nove marcature, il computo finale, di cui cinque tutte a Lecce. Troppo poco, nel totale, per sognare. Ma Sasà Campilongo si gode il momento, almeno fino alla prossima gara. Se non è record, poco ci manca: Eguaglia Carlo Dell’Omodarme, che a Como fa cinquina una trentina d’anni prima. Dalle rive del lago a Via del mare, dove circola ancora un nome. Uno tsunami come l’uragano: da quelle parti, ha lasciato proprio il segno, Sasà Campilongo.

Dario Romano
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STATE MUTTI

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 2001-2002

L’ultimo Palermo prima che voi umani: oggi, più che immaginare, possiamo ricordare. In tutti i Sensi. Prima di lasciare a Zamparini, che sta per dare il via ad un’operazione che nel Belpaese non si era mai vista, il petroliere (e non solo) capitolino allestisce una formazione niente male. Unica pecca: dopo l’epilogo finale, si porta via il pezzo da novanta. Bomba, meritava la ribalta. Un addio presto dimenticato: si chiude una porta, ma alla Favorita si spalanca un portone. Innanzitutto, per sfoltire una rosa che conta circa una quarantina di unità: troppi. Con l’avvento del friulano non si scherza neanche da questo punto di vista: ma si guadagna in qualità. Eppure, a vedere questa formazione schierata da Bortolo Mutti, la manna non manca. Il tecnico di Trescore Balneario dispone di un reparto avanzato di tutto rispetto: a partire dal centravanti di turno. Stefano Guidoni non è un cannoniere eccezionale, ma fa reparto da solo e non disdegna una certa confidenza con la rete. Per un attaccante, è tutto, ma non solo. L’ho apprezzato tanto, per quel suo modo di lottare su ogni pallone, far salire la squadra, svettare di testa comunque vada. Per concludere spesso con una coordinazione ed una postura ammirata di rado: il risultato, una doppia cifra raggiunta più che meritatamente. Cristian La Grottería è il Gaucho, quel Caballo che faceva stropicciare gli occhi a tutti, comprese le ragazze. L’avvenenza, nel calcio, non conta quanto il talento e ci mancherebbe altro, ma l’argentino ha sempre dimostrato di valere il prezzo del biglietto e dell’investimento di Don Franco. Ad innescare la miccia, una batteria di trequartisti da brividi. Ancora giovani e probabilmente non ancora svezzati del tutto: basta citare Ciccio Brienza. A far da chioccia, Cavallo Pazzo. Il Cappio, è un altro pezzo pregiato di una compagine che paga lo stesso il dazio: il decimo posto, non inganni più di tanto. In un campionato dominato dalle provinciali, con gli squadroni altisonanti relegate nei ranghi, il Palermo in affanno si salva quasi per il rotto della cuffia. Quarantotto punti, tre in più della Ternana, retrocessa insieme alle più staccate e non di poco PistoieseCittadella e Crotone. ComoModenaReggina ed Empoli salutano una compagnia che annovera nientemeno che il Napoli, la Sampdoria, ma anche Genoa e Cagliari. La sconfitta rocambolesca di Empoli apre un torneo pirotecnico: il 5-3 è ammortizzato da due gare casalinghe con la porta inviolata e con la rete di Mascara che porta i primi tre punti a danno dell’altra toscana, la Pistoiese. Il funambolo di Caltagirone è la scheggia impazzita: sembra poter risolvere le gare con un guizzo che arriva spesso. A mettergli il bastone tra le gambe, un infortunio al malleolo sul più bello. Il danno, si rivela una mazzata per tutto il complesso: un’amichevole a Caltanissetta, infatti, lo mette fuori gioco e per un bel pezzo. Il Beppe che esploderà a Catania, purtroppo, a Palermo lo vedremo di nuovo in gran spolvero, come i suoi primi barlumi, a nostro discapito: il tutto, è racchiuso in una rete da cineteca. La squadra fatica fuori dalle mura di casa: la vittoria a Marassi, ribaltando la Samp, solo un fuoco di paglia. A deflagrare, è tuttavia BombaDavide, a tratti, si mostra in tutto il suo splendore e risolve le gare da solo. Capita anche a Marco Aurelio, il brasiliano dal passo apparentemente lento che risolve una gara combattutissima contro il Genoa. Si può vincere contro chiunque, ma altrettanto perdere. Tutto ciò vale fino al derby col Messina, risolto da Guidoni a Marzo inoltrato. Un match spartiacque: dopo, è notte. Il Palermo, non vince più. Sei sconfitte e quattro pari, con il solo Stefano a tenerci a galla. Contestatori, state MuttiBortolo tornerà, con un esercito di colleghi, tanti giocatori ed una trentina di campioni. Perché, dall’estate 2002, a Palermo il calcio non sarà più lo stesso.

Dario Romano
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INCONFONDIBILE

Rosolo Vailati, SSC PALERMO

Non erano i Kiss, ma la banda del Palermo. Che, ogni tanto, suonava anche il rock. Tra tutto quel ben di Dio col cuoio capelluto, spicca Rosolo. Figlio d’altri tempi, ma tranquilli: non dei fiori. Perché il virgulto, in campo, morde come pochi. Il destino di una vita da mediano: utile, all’occorrenza, anche in retroguardia. Mossa sprecata: perché è la corsa, il suo punto di forza. La carenza, il tocco di palla: poco importa. Il resto della truppa, è baciata dal talento. E dopo un quattordicesimo posto, si sfiora il salto in alto: ai Di CiccoVolpecinaDe StefanisLopezMontesano e La Rosa, si aggiunge De Rosa. E non è la stessa cosa: il Palermo, vola. Sospinto in un primo tempo dallo sciagurato Egidio, il team allenato da Nando Veneranda ha proprio nel centrocampista cremonese il più presente e nell’ex attaccante dei Rossoneri la punta di diamante. Li schianta pure, a dimostrazione che le leggi, nel calcio, contano. Poi arriva Gianni: ebbene, contano anche i numeri. Mimmo Renna ha tanta manna: la banda suona, le prende talvolta, ma lo spettacolo è assicurato. In tutto questo, Rosolo ha la sua parte non indifferente. Ci mette del suo, con quella corsa matta manco fosse Furia: ed urla, al cospetto del cannoniere d’eccellenza. Vuole De Rosa nel cuore dell’area, del Verona. Ma il calcio è anche istinto: Gianni lo sa, dove arriverà quel pallone. Prima dalle sue parti, poi dritto in porta. Una bomba. E la Favorita può esplodere. Bandiera del Varese, da cui proviene e dove chiude, almeno a certi livelli, Rosolo resta un’icona anche del Palermo bello dei primi anni ottanta, dove mette anche la sua firma con tre reti. Due campionati diversi, ma con un elemento inconfondibile. Son passati quarant’anni: dici Vailati e tutti sanno, di chi stai parlando.

Dario Romano
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BIANCO PALERMO

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1977-1978

Rosanero, ma non solo. C’è anche il bianco, nella storia del Palermo. Che ha adottato spesso il candido colore per le gare lontane dal suo focolare e per rendersi ospitale: come in occasione di uno scatto splendido, che immortala una squadra schierata in un campo che non è certo il Bernabéu. Ovviamente, la compagine non è neanche il Real, ma spicca e luccica altrettanto, grazie ad un completo tra i più eleganti in assoluto. La cadetta in questione vivrà tra un anno la sua stagione del rimpianto: in finale di una coppa maledetta, cederà al cospetto di una Vecchia Signora. Madama è di una categoria superiore e tuttavia vedrà le sue streghe: in maglia rosa. Chiusa l’era Barbera, si apre un decennio che, per il calcio, è tutto oro. Dal Mundial in poi, gli anni ’80 aprono le porte al campionato più bello del Mondo. Per coloro i quali ‘esiste solo il Palermo’, è invece tempo per le vacche magre. Eppure, è proprio nel momento del bisogno che non la lasci sola. Il colpo di fulmine per la squadra del cuore colpisce una volta e te lo sfonda, quel muscolo che batterà forte fino a che morte non ci separi. E quando non si gioca alla Favorita, la caccia alla stazione giusta di una radiolina è la cartolina di una domenica con un solo pensiero in testa: quella maglia bianca. Accompagnata dai calzoncini neri e dai calzettoni immacolati prima del fischio d’inizio e anneriti alle strette finali. Dalle pugne lungo lo Stivale, il Palermo ne usciva spesso con le ossa rotte: un po’ come capitava spesso a chi calcava il campo alle falde del Pellegrino. Eravamo così e lo siamo stati a lungo: quasi invincibili in casa e inguardabili fuori. Leoni ed agnelli: fino ai tempi moderni. Quando ci si stropiccerà gli occhi: nel nuovo millennio, il Palermo è maramaldo, nel tempo e nello spazio. Vince dappertutto: all’Olimpico di Roma e Torino, a San Siro, al Franchi: demolito dai colpi ad effetto di un mostro chiamato Amauri. Altro che streghe: abbiamo fatto vedere i sorci verdi, a tutti. In maglia bianca. Fino in Germania. E non è finita: presto, targati Puma, torneremo a far paura. Undici leoni, li vedremo in casa con la tinta rosa. Altrove, ci andremo da Aquile: fatte per volare e per far male. Con la seconda maglia: bianca e griffata, senza tutte quelle scritte a sporcarne la tradizione. Ormai, secolare.

Dario Romano
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‘ZIZOU’ ZAULI

Francesco Guidolin e Lamberto Zauli hanno condiviso la splendida avventura nel Vicenza, semifinalista a sorpresa in quella coppa che c’era una volta. Adesso, stanno scrivendo una nuova fiaba insieme: dalle tinte Rosanero. Hanno riportato il Palermo in SERIE A dopo più di trent’anni e stanno cercando di farcelo rimanere, se possibile tenendosi lontani dalla zona retrocessione: altrimenti, la favola sarebbe a rischio di un lieto fine. La missione, risulta tutt’altro che impossibile. È un campionato competitivo: Calciopoli non si svela ancora e la Vecchia Signora, le milanesi e le romane fanno davvero paura. Ma il Palermo, se la gioca con tutte. Lo spartito è ben collaudato: dirige l’orchestra ‘Genio’ Corini, lo stesso Zauli e Ciccio Brienza inventano, Luca Toni interpreta Re Mida e trasforma in oro tutti i palloni che tocca. Manca l’acuto, la vittoria di prestigio: arriva all’ultima giornata del girone d’andata e sarà il preludio di altre vittorie d’autore. È il 16/01/2005 e all’Olimpico di Roma, si affrontano a viso aperto le due Aquile della massima serie: sarà quella Rosanero a spiccare il volo, nel finale. L’altra, l’ha già fatto prima del fischio d’inizio. Che non è certo dei migliori: al 16’ il nuovo innesto Bazzani porta in vantaggio i Biancocelesti, ma si va all’intervallo in parità, grazie all’ennesima rete del lungagnone al 42′. Punizione di Corini per la torre: un marchio di fabbrica che non lascia scampo. Nel secondo tempo, entra Terlizzi al posto di Barone. Segnali di catenaccio: no, non è da Francesco. Non è neanche tempo per il suo ventaglio: quel distendersi all’arrembaggio che vedremo meglio in un altro Palermo. Più condito da ulteriore talento, certo. Ma la tanta roba risponde già presente: infatti, ci si stropiccia gli occhi. Che ci fa ‘Zizou’ in maglia nera e rosa nell’area laziale? Sì, perché sembra di vedere il fuoriclasse francese, quando al 66’ il numero dieci colpisce in mezza rovesciata quel pallone al volo su azione susseguente ad un corner. È solo, in area: potrebbe stopparla, controllarla e invece ci mette quell’istinto divino che ha fatto del calcio l’unica religione che non ha atei. Verrà eletto all’unanimità il gol più bello del campionato e non poteva essere altrimenti. Questo va a referto: a Le Roi Platini, in Giappone, andò peggio. Annullato e lui per terra sdraiato. Non tanto la preparazione, ma l’esecuzione finale mi riporta indietro di un ventennio. Al novantesimo, col contributo di un devastante Mario Alberto Santana, sarà ancora Toni a metterla: Luca si concede il siparietto e chiude il sipario prendendo la bandierina del corner, quando i padroni di casa ammainano la loro. Passeranno pochi giorni e sarà la più grande di tutte a cadere al cospetto della rivelazione del torneo. Altro che salvezza: si arriva in Europa. E si capirà un’altra cosa: quel che la favola inventa, la storia talvolta riproduce. Paolo Condò dice: ‘Zauli potrebbe essere definito un dieci e mezzo, una via intermedia tra il rifinitore moderno alla Zidane e l’esterno d’attacco alla Lentini. In più, ha un fiuto del gol superiore.’ Parole sante.

Dario Romano
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BAFFO D’ORO

Gabriele Messina, SSC PALERMO

Quindici reti, per compiere la missione promozione. Il Palermo retrocesso punta forte alla pronta risalita ed ai giovani scalpitanti e talentuosi, affianca il bomber di categoria: una garanzia. Dalla Calabria con furore, arriva Gabriele. Salta all’occhio il baffo, d’oro come il malto: non per l’aspetto, ma di fatto. Non è la Moretti, ma la pur sempre schiumosa Messina. L’avversaria d’eccellenza è proprio la formazione peloritana, ma la differenza sta tutta nel nome della punta in maglia rosa. Sarà una coincidenza: ma in riva allo stretto, più che altro, una maledizione. Tre punti di distacco risultano troppo, dalla coppia Catanzaro e Palermo. Il gioco è fatto: il biglietto per il salto in alto è staccato a tempo debito. Decisivo, il virgulto buono per una stagione: Gabriele vanta trascorsi non indifferenti, tra tutti un’eliminazione a scapito della Juve in coppa. Con i Galletti baresi, Messina compie un’impresa: Fiorentina e Madama matate da una formazione di terza serie, giunta fino in semifinale. Per l’animale d’area, una gran scorpacciata: dodici marcature in campionato e sei nella competizione che da passeggiata divenne una cavalcata, quasi trionfale. Il Palermo ci vede bene e sceglie altrettanto: per il ritorno in cadetteria, il deludente Pircher non basta. In giro, non c’è di meglio ed il matrimonio va in porto. Ricordo con affetto, il centravanti con un po’ di pancetta ed il volto familiare: poliziotto, postino, autista. Gabriele Messina potrebbe essere chiunque. Invece, è un attaccante con i fiocchi: i numeri, lo certificano senza alcun dubbio. Il rodaggio col Crotone e l’affermazione a Trapani valgono una valigia sempre pronta. Una carriera curiosa e se non è record, poco ci manca: da Cava a Cosenza, ogni anno una partenza. Ed escludendo l’esperienza lombarda, la firma in calce è sempre quella: Gabriele, la mette che è un piacere. La regolarità è impressionante, nonostante le difese arcigne di moda a quei tempi. Nella foto lo vediamo al debutto, nel match d’esordio in campionato del Palermo: il teatro non è la Favorita in ristrutturazione, ma il Provinciale di Trapani. La maglia gialla, il Gronchi Rosanero: roba per collezionisti. Il team di Tom Rosati è una compagine ben strutturata, per la categoria: il racconto della stagione al fulmicotone lo trovate in questa stessa sede. Aggiungo il ricordo personale di un professionista serio, attaccato alla maglia anche se per un battito di ciglio. Messina era questo: l’uomo giusto al servizio del sodalizio. Ovunque è andato, ha lasciato il segno: anche il Lombardia. Perché chiude a Crema, col botto. Era questo il suo sassolino nella scarpa: prima di appenderle entrambe al chiodo.

Dario Romano
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LA JUVE DEL SUD

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1951-1952

Diecimila lire. Una scommessa reale: non è una burla. Il Principe Raimondo Lanza di Trabia fa sul serio. Vuole sfidare la Juve, ma ci aggiunge il tocco di classe: in tutti i sensi. Si affida a Gianni Agnelli: chiede, scruta e, perché no, copia. Non gioca sporco: si è reso conto che, nel calcio, spendere non basta. Gli uomini giusti al posto giusto ed il gioco è fatto: il risultato, uno squadrone che fa sognare e dimenticare. Troppi fantasmi, allo sfondo e fino in fondo. Il Palermo, per Raimondo, è uno svago e sta per diventare un vizio. Il resto, è leggenda. Quella che vedete schierata alla Favorita è una delle formazioni Rosanero tra le più competitive di sempre. Un gradino sotto al ‘Palermo miracolo’, una buona spanna altrettanto prima dell’avvento del nuovo millennio, sotto il segno del zampariniano. Il complesso guidato da Remo Galli inizia la stagione della consacrazione col botto: la massima serie edizione 1951-1952 vede ai nastri di partenza un Palermo pronto all’assalto. L’obiettivo, è migliorare il decimo posto e dare fastidio alle grandi. Fino ad un certo punto, poiché il colpo grosso sembra anticipare le più rosee previsioni: il percorso verso la gloria, sembra accorciare i tempi. I meriti di ‘Gipo’ Viani, che col Presidente ne ha viste di tutti i colori, risultano evidenti. Il suo modulo, passato ai posteri come ‘Vianema’, nasce a Salerno e si evolve a Palermo. ‘Lo sceriffo’, che nel calcio italiano traccerà un solco bello grosso anche per vicende meno lusinghiere, modifica il ‘Sistema’ adottando una figura che per l’Italia pallonara sarà storia: il ‘libero’, che interpreti eccelsi porteranno a raffinare fino a farne un ruolo chiave. L’idea è chiara: contro avversari più forti, bisogna coprire la retroguardia senza vergogna. Il talento affidato al reparto avanzato, può fare la differenza e si può provare anche a vincere. Viani passa alla Roma, relegata in serie cadetta: lascia una squadra collaudata, già arricchita da elementi di spessore. Il fuoriclasse, è la ciliegina di una torta ben farcita. Helge Bronée non ha bisogno di presentazioni: è il danese, il più forte. ‘Cesto’ Vycpálek e Dante Di Maso lo sono altrettanto, ma il fuoco dentro è appannaggio del vichingo. Si parte forte e si evince che è proprio la difesa, a tenere botta. La squadra resta imbattuta fino all’undicesima giornata. La vittoria a Napoli, con le reti di Bronée e Giaroli, inorgogliscono un Principe che non crede ai suoi occhi. La scommessa con l’amico e rivale dall’altra parte dello Stivale non sembrerebbe azzardata. Un filmato d’epoca ritrae a bordocampo un Raimondo felice, partecipe alla festa dalla panca. Ma è un fuoco di paglia. I segnali che il giocattolo sta per rompersi arrivano presto: l’incornata a domicilio del Toro il primo segnale. La reazione col Padova prelude al tracollo, proprio a Torino, al cospetto di una Juve rivelatasi fin troppo forte. Gli italiani Ermes Muccinelli e la ‘Marisa’ Giampiero Boniperti, spalleggiano un sontuoso John Hansen. C’è del buono in Danimarca, altro che marcio. Il connazionale di Bronée risulterà capocannoniere di un campionato che in vetta incorona la Signora. Le milanesi ben staccate: il Milan campione in carica chiude a meno sette lunghezze. Il Palermo, d’altro canto, perde le sue sicurezze e si trasforma: in peggio. La difesa barcolla: con le grandi, imbarca troppa acqua e affonda. Una metamorfosi assurda: neanche il cambio al timone basta, per riprendere la giusta rotta. Guido Masetti, che ha fallito con la Lupa, retrocessa a mal partito, non fa meglio col Palermo. Una corazzata che deve accontentarsi di un anonimo undicesimo posto. Un passo indietro nella graduatoria, rispetto alla stagione precedente. Una serie utile rimasta a memoria imperitura ed un terzo posto a tre punti dalla vetta: a Natale, sotto l’albero, a Palermo qualcuno ci ha visto anche lo scudetto. Il progetto finisce qui: il Principe abdica. Passa la carica al Barone Carlo La Lomia. Poi, la stessa favola iniziata con una scommessa, finisce in tragedia: il nobiluomo ci abbandona. Prima Riva, poi Maradona. Ci han pensato loro, a rivoltare il calzino e realizzare i sogni di gloria del Mezzogiorno. A mezzanotte, invece, si spengono i rumori, i fanali. E si vede soltanto lui: un uomo in frack. Addio al Mondo: ma ai ricordi, no. Vero, Raimondo: era troppo bello, quel Palermo.

Dario Romano
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PUGLIA

FERNANDO

In Brasile era noto con il semplice cognome: già, questa, è un’eccezione. Forse, perché il nome della regione suonava bene. Ma nel destino di José Ferdinando Puglia c’è la Sicilia: meglio per il Palermo, soprattutto. Il virgulto si segnala in patria nell’ex Palestra Italia, ovvero il Palmeiras di San Paolo. Nel Verdão, la mette per ben ventidue volte: non è una punta di razza, ma affianca un purosangue del goal. Lui sì che l’apelido se lo porta dietro: ‘Mazola’, per la somiglianza col celebre ValentinoJosé Altafini non ha bisogno di presentazioni, ma è la rivelazione di un giovanissimo Pelé nel mondiale in Svezia a segnare la svolta: il primo trionfo iridato della Seleção, è il vaso di Pandora che racchiudeva i fenomeni del Fútbol bailado. Inizia l’invasione, ma di quelle che fanno bene. A tanta manna, non rinuncia un Palermo che vuol farsi bello. Ed ecco il primo brasiliano in assoluto ad indossare la maglia Rosanero. Il colpo è grosso, poiché Fernando, come verrà unanimemente ribattezzato, alza di non poco l’asticella: giostrando tra le linee, ma mostrando una dote fondamentale, per distinguere i buoni giocatori dai fuoriclasse. Il suo governo a centrocampo è impreziosito dal tocco magico negli ultimi metri, probabilmente dovuto alle origini di una carriera troppo onesta e nulla più. Un moto d’orgoglio, il rifiuto della corte di una Beneamata guidata da un Mago che non l’ha impressionato più di tanto. A rimanere sorpreso, lo stesso Helenio, scornato dal fiuto del goal riconosciuto ad un giovane di bell’aspetto e non solo: perché vederlo in campo alla Favorita, era spettacolo garantito. L’aneddoto con Herrera è stato raccontato a più riprese, facendo passare in secondo piano la sostanza. In abbondanza, per un giocatore che disputa all’ombra del Pellegrino la sua stagione migliore, sulla falsariga delle gran prestazioni con lo Sporting di Lisbona. Per intenderci, quando totalizzava una media di una rete a partita. Poi, succede qualcosa: le sirene bianconere, che non portano bene. Un fuoco di paglia, visto che Puglia indosserà la casacca della Vecchia Signora in una sola occasione: trasferta in coppa, in quel di Brescia. Il Fernando che torna subito al Palermo non è più lo stesso. Ci aveva visto giusto, in quell’aereo che dal Portogallo lo stava portando fino alla Conca d’Oro. A volte, basta un tocco lieve, un incedere breve, senza grilli per la testa: piuttosto che il passo più lungo della gamba. Con questo giocatore si apre una tradizione importante: quella dei brasiliani in salsa rosa. A seguirlo ed accompagnarlo, un non altrettanto brillante Faustinho. C’era anche la ciliegina: al già presente Rune Börjesson, si aggiunge un altro svedese d’eccezione. Un fuoriclasse, ma Nacka Skoglund farà soltanto sei apparizioni: la stagione del salto di qualità, finisce nel baratro. Nel nuovo millennio, si rivede un po’ di samba con Marco Aurélio. Il picco, con Amauri e Fábio Simplício: tanta roba. Non me ne vogliano: ma a Palermo, nonostante tutto, preferiamo il tango.

Dario Romano
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PAROLA DI MATTEO

Ne abbiamo sentite tante. Troppe, nel gran rifiuto di fine Luglio: con tutto il bene che ti voglio. L’addio di Silvio lascia un nervo scoperto, inutile nasconderlo. Non mi ha convinto più di tanto, soprattutto per i tempi. Dai proclami sbandierati al vento ad un soffio scaturito dal malcontento, il passo è stato troppo breve. Ce ne faremo una ragione. E mentre dalla stanza dei bottoni si sfoglia l’ampia rosa dei papabili allenatori, riecco i colpi di Brunori. Denari ben spesi, per un attaccante ancora più forte di ogni ottimistica previsione. In spaccata, di testa, dal dischetto: un repertorio completo, che lo porta alla prima tripletta in maglia rosa. Si spalanca anche la porta di casa, dove entrerà il pallone. Tra fiumi di parole e fulmini a ciel sereno, il tuono ha il suo rombo: altro che percorso. La parabola dei Rosanero è scandita dalla parola di MatteoStefano Di Benedetto schiera il Palermo con lo stesso modulo di Baldini: saggio, ci mancherebbe altro. Ma è su questo punto che bisogna battere il chiodo: che stia ben fisso. Il profilo di Eugenio Corini, prima certo e adesso soltanto in pole, garantisce serietà e professionalità, la conoscenza giusta dell’ambiente ed una dose di riconoscenza non indifferente. Ma non convince, ammettiamolo. In panca, il Genio non ha impressionato. Mi ha colpito, d’altro canto, il non voler agire in fretta. Il City Group sta vagliando: è cosa buona e giusta. Spero tengano conto anche del modulo che ci ha portato in alto: le vittorie in serie in trasferta nascono dall’approccio tattico e psicologico. La mentalità: un altro punto da tenere in considerazione. Battuta l’onesta Reggiana dell’ex Aimo Diana, ci si appresta ad una gara dal sapore dolce della massima serie. Godiamocela, perché la festa di un Giugno indimenticabile, nella nostra testa, non è ancora finita.

Dario Romano
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LA STORIA SIAMO NOI

IGNAZIO MAJO PAGANO

Non è un vero e proprio allenamento. Siamo agli albori del football: giunto un po’ in ritardo, nello Stivale. Mentre al Nord si assegna già il titolo nazionale, nel meridione si inizia con lo scoprire, lo sperimentare. Il tempo per rimediare, non manca. Ignazio Majo Pagano, in tenuta da caccia ed in bianco candido in mezzo al campo di via Notarbartolo, è intento nel rudimento. Ha portato i palloni da Albione, mentre le maglie sono invece un insieme di bianco, rosso e blu. Ne scaturirà il primo completo che con i colori del Portsmouth FC non aveva nulla a che vedere. Ebbene, tenetevi forte, se ancora non lo sapete: i Pompey indossavano, guarda caso, una casacca rosa salmonato, ispirata ai colori dei tram in uso nella città portuale. Il resto, è storia. I primi calci nel terreno concesso dai Whitaker, la scelta azzeccata di una combinazione cromatica inconfondibile, le sfide della LIPTON CUP, assegnata definitivamente ai Rosanero dopo il disastro tremendo che colpì lo stretto. Poi il debutto, in una massima serie che si era data un nome: SERIE A. A lungo, un’ossessione: a tratti, lo zenit della nostra passione. Il trofeo del magnate del tè è stato fuso: un Sacro Graal che non figurerà mai nella sala coppe. A qualcuno verrà da ridere: non siamo mica il Milan, l’Inter o la Juve. Eppure, vi posso assicurare che il Palermo vanta una bella collezione. Cimeli accumulati in più di un secolo di storia: tra doni e scambi, tornei improvvisati e trionfi meno roboanti delle competizioni ufficiali. Io li ho visti: al Barbera, in una stanza che racchiude un tesoro che prima o poi rivedrà la luce. Per non parlare dei collezionisti, possessori dei pezzi più pregiati. Del resto, fate un po’ di conto: ad esempio, uno sportivo qualunque, anche un semplice dilettante. Che fatica a trovare spazio per i riconoscimenti vari ed eventuali: ne hanno accompagnato partecipazioni più o meno lusinghiere. Paragonate il tutto alla parabola di un sodalizio più che centenario ed il gioco è fatto. Pensate alla Pro Vercelli: in rete potrete ammirare qualcosa del genere. Le Bianche Casacche che figurano orgogliosamente nell’Albo d’oro del campionato italiano: la punta di diamante del celebre ‘Quadrilatero’ piemontese. Sette titoli, ma una sbirciata alla loro raccolta toglie il fiato: impressionante. Giù il cappello: per questo, quando il Palermo si appresta a scendere in campo, la prima sensazione che mi investe è il rispetto per l’avversario. Il blasone che porta, anche se vive tempi di vacche magre: ci siamo passati, li abbiamo vissuti ripetutamente. Partiti da quel terreno spelacchiato, con quei fiori di campo che lo rendevano macchiato e più ingiallito del dovuto. Nel mezzo, il nostro padre putativo. Da via Notarbartolo a Boccadifalco, il passo è un viaggio nel tempo lungo 122 anni. Tanta acqua, sotto i ponti. E tanta storia: quella, siamo anche noi.

Dario Romano
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UN LOGO IN PIÙ

ETTORE BANCHERO

Quando il Palermo scende in campo per la stagione 1979-’80, indossa un completino che ha fatto storia: è griffato pouchain. Ma a spiccare è soprattutto quel loghetto, che ci ha fatto tutti innamorare. La testa d’Aquila che la testa ancora continua a far girare. Vintage, ma tremendamente moderna e per sempre attuale. L’autore di tale eccezione: Piero Gratton, il designer recentemente scomparso che si è dilettato da par suo lasciando il segno anche nel mondo del calcio. Non solo per il Palermo: il lupetto della Roma, il galletto della Bari ed altri piccoli capolavori. La novità, ben gradita, è durata poco: perché per rivedere un logo, sulla maglia Rosanero, abbiamo dovuto aspettare gli anni ’90. Per tornare al precedente, bisogna fare un bel salto: indietro, di mezzo secolo.

Ettore Banchero arriva dall’Alessandria e contribuisce alla storica promozione: l’attaccante realizza diciotto reti e per la prima volta si sale in SERIE A. Siamo ai primi seri vagiti del nostro calcio e, nel torneo nazionale per eccellenza, stagione 1932-1933, ci siamo anche noi. L’ITALIA si appresta a vincere il suo primo campionato del mondo: seguirà il secondo, prima che il mondo non sarà più lo stesso. Mentre nella massima serie, il Palermo, dimostra di poterci stare: arriva un dodicesimo posto, in condominio con la Pro Vercelli, a distanza di sicurezza dalla zona retrocessione. Ma c’è anche un’altra lieta novella: un rapace che fa sfoggia. L’Aquila domina la maglia, possente e imperiale, come epoca comanda. Non è un crest ufficiale, ma lo stemma comunale. Comunque da annoverare. Pur sempre un logo, comparso per un’occasione speciale. Dimenticato, andrebbe rivalutato. Perché è anche da qui che abbiamo imparato: a volare.

Dario Romano
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THE NORMAL ONE

CLAUDIO RANIERI

Con tutto il rispetto per il crucco, sia ben chiaro: Jürgen Klopp ci si definisce e in un libro così intitolato finisce. Per me, invece, la definizione si addice ad un altro Signore. Nella foto, un giovanotto cui il rosa sta tanto bene. Anche il giallorosso, gli ha sempre donato: sicuramente, la combinazione che senz’altro ha preferito. Le origini al Testaccio, il debutto con la Lupa, una carriera passata più che altro al Catanzaro. Otto anni in Calabria ne fanno il recordman di presenze nella massima serie con la Regina del Sud. Poi la Sicilia, fino alla punta: dello Stivale. Da Catania a Palermo: un bel salto, nel buio che più buio non si può. La parabola pedatoria di Claudio Ranieri si chiude con un termine che il tifoso Rosanero della mia generazione odierà per sempre: radiazione. Una punizione esemplare: per pochi, non per tutti. Nel calcio, come nella vita, son in tanti a farla franca. Io ricordo un difensore pulito negli interventi, che dei trucchetti del mestiere avrà fatto tesoro come tanti altri: se dello sporco c’è stato, non lo abbiamo visto. Anche questo è un merito: senza l’occhio indiscreto di una telecamera di troppo, il proibito non era semplicemente dietro l’angolo, ma dappertutto. Mi fido delle dichiarazioni di chi ha appeso le scarpette al chiodo da un bel pezzo: come il nostro, che dal momento fatidico indossa la tuta e comincia la scalata. Dopo la discesa, risale per il Belpaese nelle nuove vesti: parte da Lamezia Terme, la nuova avventura. Prosegue con la Campania Puteolana, una denominazione che rimanda al calcio che c’era una volta, fino all’approdo in Sardegna: questa, me la segno. Una promozione a discapito proprio del Palermo. Se tratteggiamo con i puntini il suo percorso iniziale da allenatore, ne esce un viaggio straordinario per un bel pezzo di Mediterraneo: ma Claudio non è Ulisse. Non va in guerra, non ha una Penelope ad aspettarlo e neanche la sua Itaca. Per la corona, è ancora presto. Non ha ancora smesso e son passati trentacinque anni: tranquilli, non ve li racconto mica tutti. Ma un po’ di pazienza: perché solo una sbirciata, sarebbe poca cosa. Saprebbe di affronto. L’approfondimento, invece, chiama a gran voce: nel momento che non è altro. Come una svolta: si chiama Valencia. Una sorta di pioniere: l’avvento di un italiano su una panchina straniera e per giunta spagnola. Ranieri aveva fatto molto bene alla Fiorentina: la riporta in massima serie e fa doppietta con coppa e supercoppa. Un segnale che viene ben accolto altrove: in Iberia, la conferma. La spunta in una finale senza storia: un tre a zero netto, che abbatte l’Atlético Madrid di Radomir Antić. Uno squadrone, Els Che. Che non vince altro per l’altissimo livello raggiunto da altre incomode: una su tutte, il Superdépor del decennio d’oro. Oltre, ovviamente, alle due solite note. Quella stonata, è l’etichetta: che arriva in fretta. Chi arriva dopo di lui, fa meglio: ed ecco il perdente di lusso. Indigesto, quando altri han goduto della sua tavola ben apparecchiata. La torta, arriva quando lui è già andato. Non è poco ed è ingiusto: sarà il tempo, a mettere le cose a posto. Ranieri non finirà come ‘el hombre vertical’: all’uomo tutto d’un pezzo cui non si abbina il trionfo. Héctor Cúper ha già perso una finale al cospetto della Lazio: al Mallorca, sfugge una coppa purtroppo cancellata dalla UEFA ed altrettanto mai dimenticata. Ma l’eterno secondo non è ancora nato: saranno Real e Bayern, a battezzarlo di brutto. In seguito, la Beneamata gli riserverà l’inevitabile scomunica. Claudio, al contrario, è ancora immacolato. Nonostante tutto, non si sente ancora quel dito puntato contro. Un giorno, anche dove ha fallito tornerà: per una ritoccata e fuga. Dopo l’annata disgraziata ai Colchoneros e quella voglia di cambiare aria che lo porta a Londra. Il Chelsea che gli tocca non ancora luccica: il lustro, ancora una volta, si materializza quando il Mister saluta. Sembrerebbe una maledizione: quando s’insedia lo Special OneRanieri torna a casa. In tutti Sensi: c’è pure la Roma di Rosella, dopo aver ceduto alla corte di Madama. Subentra a Luciano Spalletti e salta all’occhio qualcosa di diverso: il tecnico è meno introverso, più battagliero. Sbotta, rispondendo a tono in sala stampa ai torti arbitrali, alle critiche maliziose. Vanta una collezione di panche altisonante, ma il piatto piange comunque. In bianconero e giallorosso, il colpo grosso resta ad un posto: quel gradino più in alto. In basso, ti ci spinge una pressione insostenibile: l’occasione da sfruttare è l’aria più salubre di un ambiente a misura d’uomo che, soprattutto, trasuda un altro calcio. Il club del Principato è scivolato a mal partito e per un Ranieri, questo è troppo. Al capezzale, ne arriva un altro: quello giusto. Son le prove, a miracol mostrare. Il Monaco risale dalla seconda serie al primo colpo e non è finita: mette tutte in fila, tranne la parigina ulteriormente arricchita. Che è ancora più forte dell’anno precedente: impossibile, fare meglio. Almeno, han sentito il fiato monegasco sul collo. Parlavo di Ulisse, del viaggio straordinario narrato da Omero: figurati se poteva mancare, la Grecia. Ebbene, c’è pure una Nazionale, nel curriculum di un allenatore che si appresta, finalmente, a vincere. Non in un torneo qualunque, non con lo squadrone di turno e nemmeno contro avversari di chissà quale basso rango. È la dorata PREMIER LEAGUE, la squadra è un ‘normale’ Leicester City e le avversarie si chiamano Manchester United e CityTottenham ed Arsenal, staccato di ben dieci lunghezze. È stato un successo col botto: come se il destino avesse deciso di ripagare l’uomo, prima che lo sportivo, con tanto di interessi. Lui un po’ si sminuisce, attribuendo buona parte del trionfo a tutta una serie di fattori che nel football risultano spesso determinanti. L’ottima condizione fisica dei giocatori chiave, l’esplosione oltre ogni immaginazione degli stessi protagonisti, i risultati altalenanti delle avversarie, compresa la campione in carica: un Chelsea inguardabile. Ed il crederci anche quando i più scettici sembravano aver avuto ragione. Senza fare i conti col cuore, che ad un certo punto va oltre l’ostacolo. L’evento ci riporta ad un viaggio a ritroso nel tempo: il Verona di Osvaldo Bagnoli, la Samp di Vujadin Boškov. Quelle favole a lieto fine che sono anche il sale, del calcio. L’oltre, di un Davide che batte Golia: questo capita una volta ogni tanto, mica in un torneo così lungo. Il viaggio del romano, invece, continua. In Italia, in Francia, ancora in terra d’Albione. Alla ricerca di qualcosa che non deve essere, per forza, la vittoria. Quella più bella, il Mister l’ha vissuta sulla propria pelle. L’uomo, che di speciale ha proprio il suo essere normale, la riceve a gran voce. Perché non è una coppa, non ha le grandi orecchie. È un applauso spontaneo: all’Olimpico, quando il suo volto appare sul grande schermo. Parte la standing ovation e non può esserci niente di più bello, nel vederlo commosso. C’è proprio il Leicester, in campo, contro la Roma di Mourinho. Nell’immaginario di un collettivo che affolla la testa del portoghese, il buon Ranieri ha fatto parte della lunga schiera dei nemici: poca roba, qualche battuta. Il rumore è un’altra cosa. Idem il boato scaturito da un’impresa miracolosa. In Inghilterra, c’è un nuovo Re: che non sarà speciale, ma neanche un pirla. Altro che perdente. Da quella maglia a tinte Rosanero in poi, Claudio ne ha viste di tutti i colori. Daje e ridaje, ha sfornato l’ennesima favola che ci lega ad un mondo per eterni bambini. Ma questa è diversa dalle altre: è storia. E non è ancora finita.

Dario Romano
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GLI IMMORTALI

Calza bene l’affermazione del capitano, Francesco De Rose. Li chiama così, i suoi compagni: autori dell’ennesima prestazione da incorniciare. Il fiore all’occhiello in un finale di stagione semplicemente perfetto. ‘Tutto molto bello’, direbbe Bruno Pizzul: ne avrebbe ben donde. E dire che l’ammonizione a Dall’Oglio in avvio e la spinta in area su Brunori, ignorata dall’arbitro Perenzoni, mi ha riportato alla mente le streghe di Frosinone. Restando sul paranormale, quella serata è mutata in un fluido ectoplasmatico che, prima o poi, finirà col turbare i miei sonni. Forse da questa estate, che inizia nel migliore dei modi: la realizzazione di un sogno, figlio di una mentalità vincente inculcata da un allenatore che definire ‘il migliore’ sarebbe riduttivo. Silvio Baldini è il protagonista assoluto dell’agognato ritorno in cadetteria. Ha trasformato una squadra subissata da critiche feroci ed incapace di esprimersi anche a livelli accettabili. Ma dalla vittoria di Avellino in poi, nel Palermo è cambiato tutto. Come a tutti, è rivolto il dovuto ringraziamento: al Presidente Dario Mirri ed ai suoi uomini fidati, che hanno costruito la squadra sulla fiducia accordata. E ovviamente loro, i protagonisti in campo. Undici eroi e passa che non hanno mollato di un centimetro, attaccando a più non posso, anche quando difendere sarebbe stato più sensato. Su tutti, un plauso particolare allo sposo novello: Matteo Brunori, un attaccante di categoria superiore, che si è sentito in dovere di portarci a suon di reti dove ci compete. Il minimo indispensabile, per una piazza come Palermo. Che è tornata a farci l’amore, con la squadra del cuore. Notti magiche che non dimenticheremo mai. Dai, centotrentamila in pochi giorni: una roba mai vista. Mi auguro che si tratti davvero di un nuovo inizio e non mi riferisco alle vicende societarie. Chi ha partecipato in massa alla corsa per accaparrarsi un biglietto prezioso, avrà realizzato che vivere un match allo stadio è un’esperienza che val la pena di essere vissuta. Se il City Group giocherà bene le sue carte, lo sceicco non si pentirà della scelta. La speranza, è questa: che ci sia un progetto serio. Qualche vittoria e la scoperta di nuovi campioni non basta. Come non basteranno le sirene del mercato, ad ogni giocata del nuovo talento apparso in campo: è questo, che ci ha stancato, ai tempi del patron che tutto ha divorato. Pace all’anima sua: tutto sommato, il friulano voleva bene a Palermo ed al Palermo. Forse, da lassù, ci avrà anche dato una mano. Ma io penso a loro: allo zoccolo duro. Che ha vissuto dall’inizio alla fine l’era Zamparini e la buona riuscita dell’operazione Hera Hora, come le ultime generazioni. Ma, alle spalle, ne ha viste così tante che definirli immortali non risulterebbe affatto fuori luogo. Il rosa ed il nero: dagli anni ’80, una successione di eventi da lasciare cicatrici indelebili. C’erano loro, c’ero anch’io, alla Favorita non intitolata ancora a Renzo Barbera. Quel secondo anello sembrava poterci far volare, come il rapace che ci rappresenta meriterebbe. Poi, l’incubo del baratro che non vuol dire retrocessione: ci potrebbe anche stare. Ma radiazione. Un’altra di quelle parole che odierò per sempre: come Frosinone. Eppure, abbiamo scoperto che anche il gradino più inferiore può regalare soddisfazione: il Palermo della rinascita è sangue fresco che affiora nelle vene. Il Mondiale ci restituisce un impianto più capiente, dall’aspetto imponente. Troppo grande certe volte, troppo piccolo per le occasioni speciali. Quando ci rendono visita le strisciate e altre blasonate, per una serata di gala o per qualche scoppola in coppa, come questa contro i Viola. Troppi anni senza il calcio che conta, hanno spostato le attenzioni verso gli squadroni: una spiegazione che non mi ha mai sfiorato. Per me, per i vecchi cuori Rosanero, esiste solo il Palermo: non scherziamo. Quello dei picciotti è orgoglio: quanti pianti di gioia in curva. Ignazio Arcoleo e Speedy Vasari mi hanno fatto toccare il cielo con un dito, fino a precipitare come un Icaro squagliato al sole. Il piatto piange: ci ha pensato Franco Sensi, a far tornare i conti. Fino all’avvento del nuovo millennio. Dove abbiamo visto cose che il tifoso del Palermo non avrebbe mai potuto immaginare. Nel bene ed anche nel male. L’ingresso in Europa e l’invasione di Roma non son bastate: finisce tutto in brace. Un fallimento sportivo, oltre che societario: una sfilza infinita di timonieri, la maggior parte allo sbaraglio. Fino al nubifragio, dopo che si è venduto tutto. Un tesoro perduto, senza aver vinto nulla e con diverse rose che ci hanno invidiato in tutta Italia. Espugnata ed impaurita da un Palermo tremendo, soprattutto quello di Francesco da Castelfranco. E poi divorato da una conduzione scellerata. L’ennesima favola senza lieto fine: un buco nero che tutto quel rosa inghiotte. Le parole dette da Delio Rossi, mi vengono in mente: come aveva ragione. ‘Passano i tecnici, passano i presidenti, ma il Palermo resterà sempre’. L’Aquila come la Fenice, caro Delio: che risorge dalle sue ceneri. Con il suo esercito di immortali. Ed una schiera di eroi: lasciata a briglie sciolte dal suo condottiero. L’uomo di marmo, quello buono. Da Massa Carrara, il buon Silvio. Il nostro Mourinho. Meriterebbe una statua, immortalato mentre arringa la folla. Alla vigilia dell’atto finale, a scacciare i tanti, troppi gufi: quel rumore dei nemici che abbiamo cancellato col boato di un Barbera sontuoso e corretto. Per intenderci, senza scagliare palloni in campo. ‘A me interessa il percorso’: era quello giusto. Di tutto il resto, non ce ne frega un cazzo.

Dario Romano
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QUELLA SPORCA DOZZINA

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1990-1991

Quando il gioco si fa duro, occorre che i duri comincino a giocare. C’è una rosa da sistemare, per realizzare il minimo sindacale. Una piazza come Palermo non può stare in terza serie. Succede: perché, a volte, al peggio non c’è fine. Dopo la rinascita, per compiere la missione, il Palermo di Giovanni Ferrara si affida ad una sporca dozzina: ovviamente, nel senso buono del termine. Guardate: quei volti scavati, concentrati su un unico obiettivo. Gente, qui non si passa: abbiamo fretta. A Franco Liguori si affida una truppa di prim’ordine. Il ritorno, innanzitutto, di Giacomino Modica, talento precoce in origine e adesso pronto e maturo al punto giusto. Un giocatore di altra categoria: per il terzo gradino del calcio nostrano, un lusso. Silvio Paolucci e Giorgio Lunerti rappresentano una garanzia: il primo serve ad allargare le maglie strette delle difese arroccate, il secondo per le stoccate. Un centurione, Giorgione: dalla Campania Puteolana arriva con furore e saranno reti, di quelle pesanti. La difesa è collaudata, con Roberto Biffi lancia in resta tra i vari Pietro De Sensi e Giampiero Pocetta terzini e Fabrizio Bucciarelli nel mezzo. Il centrocampo è in buoni piedi (Massimiliano Favo e Rocco Cotroneo mordono e rilanciano), l’attacco punge sulle fasce (alla opposta di Paolucci ci pensa Donato, ad aprire i Cancelli) e azzanna l’area col centravanti di turno. Se non c’è Giorgio, ecco SandroCangini è un cavallo: a volte dal piccolo trotto, a volte purosangue. Se tirato a lucido, non conosce ostacolo. In regia, regna Sua Maestà: la mia ammirazione per Modica è così svelata. Una corazzata, questa schierata in salsa Rosanero degli ‘Angeli dalla faccia sporca’. Eppure, mai dare nulla per scontato, nel calcio. L’amichevole con la Juve è un omaggio a Totò Schillaci ed alle notti magiche. Paolo Alberto Faccini va a segno e poi al Baracca Lugo: la classica toccata e fuga. Un assaggio di Roberto Baggio, di un altro livello e mi accontento. Poi, ci si cala nella parte che ci tocca, ma l’atmosfera si fa cupa: questo Palermo, non ingrana. Strano, perché l’inizio non è male: Siracusa battuta alla Favorita e vittoria sul campetto del Nola. Ma è il Catanzaro a far scattare l’allarme: tre schiaffi seguiti dal pari a reti bianche in casa con la Torres. Per la dirigenza, occorre una scossa. Ed ecco il ritorno di Enzo Ferrari. Da giocatore, autore di una stagione, tra le altre, da incorniciare. Cambio al timone e si cambia marcia. Parte indenne dalla città del Palio un cavallino rampante, che ne vince cinque e pareggia anche a Perugia. Poi, cede al Cibali e riparte da par suo. Eppure, il finale del girone e l’inizio del ritorno fan gridare allo scandalo: vuoi vedere che lo squadrone si scioglie come neve al sole. Giusta, l’impressione, ma stavolta si fa quadrato e si rinuncia allo scossone: nonostante un rendimento altalenante, che rischia di mettere ancora tutto in discussione. La verità è questa: regna l’equilibrio. Puoi vincere o perdere contro chiunque e puoi arrivare in vetta come precipitare in fretta. CampaniaBattipagliese, il Catanzaro penalizzato di tre punti fatali e la Torres non evitano il baratro, ma tra il Giarre salvo a quote trentadue ed il Casarano terzo a quaranta, contiamo soltanto otto punti di differenza. Dietro la capolista Casertana, la spunta proprio il Palermo. Che ha messo abbastanza fieno in cascina da resistere alle vacche magre. Dopo l’inopinata sconfitta di Battipaglia, che segue la disfatta di Caserta, bastano tre vittorie e cinque pari per staccare l’agognato biglietto per il torneo cadetto. Cinque anni di assenza, dal calcio che meno conta ma che da queste parti contava eccome. E due partite che ti restano nel cuore: il tre a zero al Catania ed il pari con l’Andria. In una Favorita stracolma e piena di gioia. Riguardo il derby di ritorno contro gli etnei, rifatevi pure gli occhi: c’è il Tubo, a racchiudere il ricordo. Di un agognato salto in alto e poi di un viaggio: nel tempo.

Dario Romano
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BIFFI & SODA

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1993-1994

Per una volta, una bella coccarda sulla maglia. Fa sfoggia per la relativa doppietta: promozione e coppa. Ma Angelo Orazi lascia: è questa la notizia che sconvolge l’ambiente. Si parla di un presunto accordo raggiunto con l’Udinese: non se ne farà niente, ma ciò è sufficiente per un addio a malincuore. Un peccato, perché si giocava bene e, con qualche ritocco, si poteva fare altrettanto nel gradino più alto. Si corre ai ripari, ma la scelta del nuovo timone si rivelerà affrettata. La partenza, è da brividi. Che la Fiorentina fosse di passaggio, si dava per scontato. I Viola sono una corazzata: vantano Gabriel Omar Batistuta in rosa, ma il lusso per la categoria è anche il crucco Stefan Effenberg. Un cliente scomodo, per il debutto casalingo: Enrico Nicolini ha da poco appeso le scarpette al chiodo e dopo un breve rodaggio si siede sulla panca del Palermo. Un bel trampolino, ma il rischio è lo scotto. Pagato a caro prezzo: tre reti a domicilio alla prima, ma nulla di allarmante. Nell’ultimo torneo che assegna due punti a vittoria, anche a piccoli passi la classifica può muoversi. Ma a Cosenza è calma piatta, fino al golletto dei Silani. Col Ravenna, la Favorita rinuncia già: non si veste a festa. A festeggiare, è l’avversaria: la rete di Francioso è più di una sentenza e frutta il benservito. Sancito anche da numeri inequivocabili: tre gare senza punti e senza reti. Enrico si è bruciato. Per domare l’incendio che minaccia il Palermo, arriva l’uomo giusto: Gaetano Salvemini. Nomen omen: il resto, è soprattutto esperienza. Che a questo punto conta, vista l’aria che tira. Non gli si chiede mica la promozione, ottenuta alla Bari, ma almeno una salvezza che in Puglia ha centrato due volte nel gradino superiore della massima serie. Serve mettere fieno in cascina, prima dei ritocchi da apportare a Novembre: la squadra, non è adatta alla serie cadetta. Eppure reagisce. La mano del nuovo allenatore si intravede un po’ in Toscana: col Pisa, quarta sconfitta consecutiva maturata solo nel finale. L’attacco è ancora a secco, ma dopo appena tre minuti si sblocca in casa contro il Verona: la firma è di Sasà Buoncammino. A chiuderla, un giovane terzino. Pietro Assennato lo conosciamo: aveva già debuttato in Rosanero. Un soldatino, il palermitano, che negli anni novanta si guadagna meritatamente più di cento presenze con la casacca del cuore. La doppia casalinga è da sfruttare: alla Favorita arriva il Pescara e diluvia. Piovono anche reti: un rigore per parte, ma Bivi e Borgonovo non bastano agli ospiti. Torna il Rizzolo di una volta: Antonio fa doppietta e c’è anche una buona novella. La rete di un difensore con un cognome importante: non è Gianni, ma Gaetano, gioca tutt’altro che in attacco ma va a referto: De Rosa è nato in Germania, ma è uno scugnizzo niente male e con i piedi ci sa fare. Due vittorie consecutive fan ben sperare, ma ad Ancona la difesa cede: si rivede Felice Centofanti, che ci riporta giù tutti quanti. La picchiata definitiva è una doppia sberla targata dal Condor Agostini. Quando Buoncammino risolve il match col Bari, sembra di rivedere un film già visto: Rosanero bene alla Favorita e male altrove. Arrivano gli innesti, a cominciare da Federico Giampaolo. Il talento del trequartista è indiscusso, ma in Sicilia il giovane di proprietà Juve non sfonda. Meglio a Novembre, quando arriva la cavalleria: Gianmatteo MaregginiTebaldo BigliardiValeriano Fiorin e Antonio Soda. Un elemento di spicco per ogni reparto, con tanto di clamoroso ritorno. Il portiere non è una saracinesca, ma con i Viola ha fatto esperienza. Una bandiera rosa degli anni ottanta, Bigliardi, scudettato col Napoli di Maradona e consacrato con l’Atalanta. Chi se la scorda, la botta di Fiorin contro i Reds, mentre Soda è l’attaccante di categoria che mancava alla causa. Il tempo di registrare la formazione e si riprende a marciare. Due vittorie e quattro pari, con la sconfitta in Brianza ad opera del Monza che chiude il girone. Di far punti a Firenze, neanche a parlarne: Biffi realizza la rete della bandiera dopo quattro pappine. Poi, è un altro Palermo. Che ad Aprile riscopre il mal di trasferta: fa da contraltare la tripletta casalinga del nuovo attaccante, che schianta l’Ascoli. Inizia Maggio con l’autorete di Davide Campofranco nel finale sfortunato di Acireale, ma che è primavera si avverte da un partitone in casa col Cesena: dove Soda raggiunge quota otto marcature e Sasà timbra per l’ultima volta nel calcio che un po’ meno conta. La paura fa novanta, a quattro gare dal termine. Tre pari a reti bianche, poi quella benedetta punizione che ci allontana di un punto da una bagarre che condanna PisaRavenna e ModenaFiorentina in scioltezza, promossa insieme a BariBrescia e Padova. Il fanalino di coda è deciso da tempo: il derelitto Monza, che strappando un punto inutile ci avrebbe condotto all’inferno. Poi, arriva lui, bello bello. E la mette da par suo: per Roberto, è questo il momento di gridare al vento. Ed è BIFFI GOL.

Dario Romano
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‘COME HAI FATTO!?’

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 1994-1995

Ad un certo punto, nella storia rossonera, alla sconfitta col Palermo ci si farà il callo. Era già successo, ma soltanto all’ombra del Pellegrino. Tra le altre, quando lo sciagurato Egidio riserva al Diavolo l’ennesima amarezza. A San Siro o Meazza che dir si voglia, la prima volta si materializza in una serata di fine estate. L’eccezione si farà regola, ma la fantascienza è ancora materia sconosciuta al tifoso Rosanero. Quando si espugna la ‘Scala del calcio’, il racconto è più che altro biblico: succede che Davide abbatte Golia. Una sensazione non per tutti: riservata a chi non tiene per le grandi. Al primo turno, il Palermo è maramaldo: si espugna del Ravenna il campo. Giallorossi in vantaggio con Antonioli dopo un quarto d’ora nella ripresa, risponde Massimo Cicconi e sentenzia Roberto Biffi nel finale. Un buon segnale, ma a Milano basterebbe uscire a testa alta: non è mica una prova del nove. La formazione che Gaetano Salvemini manda apparentemente allo sbaraglio non è niente male: questo, è un Palermo che fa sognare, almeno sulla carta. Ma di spuntarla col Milan in trasferta non se ne parla. Mi accontenterei di un pareggio, di una sconfitta di misura. Per aggiungere un po’ di sale al previsto match di ritorno: non mancheranno anche pepe e peperoncino. L’undici ospite spicca, sul terreno di gioco: perché il completino della ABM è quasi tutto bianco. Il nuovo arrivato a difendere i pali, Gianmatteo Mareggini, sceglie invece il giallo. Il reparto difensivo è composto da tre centrali: alla coppia ben collaudata da Ciro Ferrara e capitan Biffi, si aggiunge Mirko Taccola. La novità rappresentata da Massimo Brambati si esprimerà a destra, anche se è più lecito aspettarselo maggiormente in copertura che all’avventura. Giovanni Caterino farà da supporto sul lato sinistro in entrambe le fasi, mentre a centrocampo Beppe Iachini farà da chioccia a Masino Pisciotta: tra un tackle e l’altro, farà molto più del previsto. L’inventiva è tutta nei piedi di Lorenzo Battaglia e Pietro Maiellaro: il ritorno dello Zar è gradito, ma l’occhio di riguardo è tutto per Sasà Campilongo. Il vero botto di un mercato succulento, come non si era mai visto. Fabio Capello, per il secondo turno di coppa, pensa all’ordinaria amministrazione, ma non schiera un Milan dimesso più di tanto. Ielpo in porta, Galli e Costacurta centrali, Tassotti e Panucci terzini. Il centrocampo è inedito: Sordo e Donadoni sulle fasce, Albertini in mediana e Gullit a briglia sciolta. Il tulipano fa da spola e da supporto ai due avanti: Simone, autore di una stagione da incorniciare e Lentini. Questi è un’ombra, dopo il recente incidente. Io penso ancora a quel cappotto rimediato in un’amichevole precampionato: ferite ancora aperte che non ho smesso di leccare. Otto reti a domicilio, con il trio olandese in gran spolvero. Rijkaard è ora all’AJAX, mentre il Cigno di Utrecht è al canto: Marco van Basten sta soffrendo le pene dell’inferno. Ruud è tornato, ma l’esperienza alla Samp non è ancora finita: la sua, sarà una ritoccata e fuga. A gara iniziata, lo spartito non sembra riservare sorprese: padroni di casa all’attacco e Palermo chiuso a riccio. Quando la barricata cede, Gullit la cicca o prende la traversa, mentre Panucci alla trave fa la barba: il Diavolo impreca, perde smalto e le Aquile ci credono. Quindi, il volo. Quarantaduesimo: corner sul fronte sinistro d’attacco, dalle parti di IelpoBattaglia e Maiellaro scambiano corto, poi Lorenzo guarda in mezzo e calcia teso un pallone velenoso. Lo è altrettanto l’esito: in un’area affollata di marcantoni, la spunta Iachini. A due passi dal dischetto, l’impatto: la sfera tocca terra a mezzo metro dalla linea di porta e riprende la sua corsa ineluttabile. Nulla da fare per l’estremo difensore: è destinata all’angolo. ‘Ma come hai fatto!? Come ci sei riuscito!?’ Biffi racconta il tormentone che precede il match di ritorno. Ma Beppe non è il solo, a lasciare il segno: nel secondo tempo, lo spreco di PietroZar, come hai fatto, a tu per tu con Ielpo. Temo la legge del goal sbagliato, goal subito: ma per fortuna entra in scena Gianmatteo. Non ruberà l’occhio, ma a San Siro è perfetto: il portiere si esibisce da par suo su Tassotti e Stroppa. Che farà pari e patta in una Favorita fatta bolgia. L’amaro in bocca, a vederlo svettare e colpire, anche lui, di testa. Poi, sempre loro: la maledizione degli anni novanta. Dagli Azzurri ai Rosanero, il trionfo non è ad un passo: dista undici metri. Quegli odiati, maledetti rigori.

Dario Romano
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AD UN PASSO

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1977-1978

Subentrato nel finale di una stagione con due cambi al timone, l’ex attaccante dal volto intrigante si guadagna la conferma. In panca, siede Nando Veneranda. Potrebbe fare pure l’attore, il lungagnone, ma meglio così. Un signor allenatore, ‘El Gringo’, che al Palermo è al primo atto di un trittico col finale tragico. Tutt’altro all’inizio: si sfiora il botto. Il colpo grosso non si materializza per un soffio: il fiato corto ad un passo dal traguardo ed il sogno è infranto. Un vero peccato, considerando l’andamento in un torneo meno complicato del previsto. Da una retrocessione scongiurata ad una promozione sfiorata: ma alla fine, rimane tutto come prima. Dal Matera, arriva Vito Chimenti: è questa la notizia. Non sarà un centravanti come tanti altri: questo, è per cuori forti. Sedici reti, tanto spettacolo ed un cavallo di battaglia: la bicicletta. Si è alzata l’asticella, in un reparto che resta comunque anemico: si segna poco, un mal comune che di gaudio ha altrettanto. Difese agguerrite ed a volte basta una sola rete: quel che non manca, ogni tanto, al Palermo. I Rosanero partono al piccolo trotto, confermando un limite che ai tempi è la norma: in trasferta, si fa spesso cilecca. PistoieseAscoli e Sambenedettese la spuntano, mentre alla Favorita ci si abitua al pari a reti bianche. Dieci pareggi, nel girone d’andata: troppi e decisivi, considerando che quattro punti in più, al tirar delle somme, avrebbero consentito il salto in massima serie. Al giro di boa, si svolta e Vito si materializza in tutto il suo splendore. Soprattutto ad Aprile, quando il Palermo cambia passo e nulla è più lo stesso. Si espugna Taranto, la terza ed ultima affermazione lontano dal Pellegrino, alle cui falde lo stadio si è fatto fortino: imbattuti in casa, per tutto il campionato. Quattro vittorie consecutive nella bolgia spalancano i sogni di gloria. Con Chimenti, è bandiera rosa ai quattro venti. A quattro giornate dalla fine, si batte la Ternana e si incrociano le dita: che sia la volta buona. Lo scontro diretto col Catanzaro, però, sorride ai Giallorossi, la Cremonese strappa un punto che non gli servirà più di tanto ed in Emilia Romagna la conferma: da rosa, la bandiera del Palermo si è fatta bianca. Due a zero per il Cesena, con i giochi ormai fatti. Coinvolti tutti, escludendo la testa e la coda. Modena fanalino, con appena venti punti. La stessa Cremo ed il Como la distanziano di brutto, ma non evitano il baratro. Lassù, invece, un Ascoli inarrestabile: appena tre sconfitte, ben ventisei vittorie. I marchigiani di RozziRenna e del cannoniere Ambu fanno il vuoto. Chiudono a sessantuno, con Catanzaro e Avellino appaiate seconde e promosse a quota quarantaquattro. I rosa chiudono al sesto posto: a quattro punti dalle premiate. Un piccolo passo, un ultimo sforzo: mancato troppo spesso. Non soltanto per il fiato corto: al primo Palermo di Veneranda non si può rimproverare nulla. Nel calcio, la differenza è fatta da uomini come Vito Chimenti. E da un pallone che non entra. La torta, indigesta: ma la ciliegina resta.

Dario Romano
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UNA SERA DA LEONI

La prima pagina del ‘Giornale di Sicilia’ del 31/08/1995: una reliquia. L’omaggio è per Ignazio Arcoleo, immortalato a fianco di una porta che i Rosanero hanno violato per tre volte. In alto, campeggia il titolo principale: l’attacco della NATO alla Serbia. Sono passati più di vent’anni e la solfa, non cambia: ci sono ancora, i venti di guerra. La pugna andata in onda alla Favorita è di ben altra pasta: ‘una sera da leoni’. Non sarà l’ultima: il ‘Palermo dei picciotti’ ha appena iniziato a dare spettacolo. Non è la prima volta che vediamo Davide abbattere Golia: sempre in coppa, il leone per eccellenza espugnò il Meazza al secondo turno. Meno di un anno addietro, Beppe Iachini mostrò un altro Diavolo a Capello. Che al ritorno vide pure le streghe: partita epica. In sala stampa, Don Fabio apparve proprio stremato, ma sollevato per un esito che sorrise ai Rossoneri dagli undici metri: nonostante l’inferno di una Favorita vestita a bolgia. Stavolta, è gara secca: la vittima, il Parma di Nevio Scala. Che rinuncia al suo mantra: per il debutto di Hristo Stoichkov, giunto in Emilia in pompa magna, l’allenatore dei Ducali detentori della COPPA UEFA, schiera una formazione inedita. Rinuncia al suo punto forte, quella difesa a cinque che è come un marchio di fabbrica. Lascia a briglia sciolta Gianfranco Zola ed è cosa buona e giusta, affida la regia a Massimo Brambilla e appoggia l’unica punta con la brutta copia di un Tomas Brolin tutt’altro che in forma. Lo svedese non è più lo stesso, dopo l’infortunio: presto ai margini, lo attende il Leeds ed un mesto finale di carriera. A Palermo, invece, è tempo di fiori d’arancio. Il matrimonio con l’ex mammasantissima si è materializzato e promette nozze mai viste. Arcoleo ci ha pensato spesso, al suo ritorno: quasi ospite fisso delle emittenti locali, dichiara a più riprese il suo intento, esibendo tanto di prove sul campo. Con il Trapani ha sfiorato il miracolo: quarto posto e salto in alto vietato dal Gualdo. La società di Andrea Bulgarella ha vissuto un sogno: una stagione da incorniciare, nonostante l’esito finale. Sia chiaro, ben oltre le attese. Protagonista assoluto: Nino Barraco, presto in rosa arruolato. Ciccio Galeoto lo sa bene, cosa ci attende. Il terzino giunge dalla ciurma del capitano di lungo corso e avverte: ‘vedrete il Palermo correre’. Me la segno, questa: giunto in curva, mi aspetto una gara tosta e nulla di più. Non avevo fatto i conti col Vasari. I filmati degli Acesi hanno fatto un gran bel giro: ci hanno mostrato una trottola, una scheggia impazzita e dotata di quel talento che non guasta. ‘Topolino’ non corre e basta: salta gli avversari come birilli, ma nella sua città racconterà un’altra storia. Perché la mette pure che è un piacere. La curiosità di vederlo all’opera è tanta, come la gente accorsa. Più di ventiduemila paganti, ma alla Favorita gli spalti vuoti son davvero pochi: siamo circa in trentamila. I Rosanero hanno espugnato Acireale al primo turno: con una rete per tempo, ad opera dello stesso Galeoto e di Massimiliano Pisciotta. I palermitani, abbondano anche in campo. Comunque vada a finire, a spiccare è anche la fame di undici leoni a caccia delle povere pecorelle smarrite. Altro che ‘Dream Team’, per Hristo: il bulgaro, vivrà un incubo. Scornato da gran favorito: lo ha già vissuto ad Atene, con l’imbarcata del Barça di un presuntuoso profeta. Stretto tra le maglie di Robertone Biffi e Ciro Ferrara, i morsi di Iachini, i raddoppi di marcatura: sembrano troppi, gli uomini in rosa. Dalla curva, si nota la stessa cosa. I Rosanero, non solo corrono: pressano di brutto, scambiano di prima, cercano la porta con insistenza. E già al settimo, la sbloccano. I terzini del modulo a zona architettato da Ignazio, arano il campo ma non si limitano a far su e giù dalla fascia. Quando possono, irrompono e fanno danno. Iachini vede l’inserimento di Giovanni Caterino, tutto solo a sinistra. La difesa non intercetta la sfera ed il biondo la stoppa, se la aggiusta, mentre si avvicina sempre di più alla porta. La sua bomba è una saetta che fulmina Luca Bucci nel sette. Il boato assordante accompagna la sua capriola liberatoria. La sberla non rinsavisce il ParmaScala lamenterà la mancanza di condizione, ma la lentezza dei suoi è solo una scusa. La verità sta nel mezzo: è il Palermo, che ha un altro passo. Io mi aspetto una reazione, nonostante tutto. Basterebbe un calcio piazzato, una giocata del tamburino sardo, un’incursione di Dino Baggio, un colpo ad effetto del Pallone d’oro. Ma c’è il mio numero uno, come ultimo baluardo. Gianluca Berti è attento, mentre le sporadiche occasioni degli avversari nascono soltanto da spunti individuali, annebbiati da spazi e tempi sempre più stretti. Mentre mi stropiccio gli occhi, cede Antonio Rizzolo: anche lui sembra incontenibile, come nella stagione maledetta di una retrocessione assurda. Sguscia a sinistra ma prende una botta: al suo posto, entra Giovanni Di Somma. Non c’è una vera e propria cantera, ma è pur sempre un altro figlio della casa. Mentre l’attaccante umbro lascia il campo e non solo quello, il ‘Palermo dei picciotti’ prende sempre più corpo. All’intervallo, le mie preoccupazioni aumentano: a quel ritmo, si pagherà dazio. Ripresa: la favola che si materializza in tutto il suo splendore. Che potesse far male, si era già capito: ma non fino a questo punto. Il funambolo col numero sette sulle spalle onora i grandi del ruolo: è il suo turno. Lo schiaffo arriva ancor prima che nel primo tempo. Al secondo, ‘Speedy’ aggancia in area, resiste al contrasto, se la passa dal sinistro al destro in un millesimo di secondo e tira forte. Sembra una botta alla Totò Schillaci, quelle della non lontana Italia ’90. Ma la serata è ancora più magica perché non è ancora finita. Fila tutto liscio, anche quando Hristo ci prova da distanza ravvicinata: la paratona di Berti toglie ogni speranza al Parma, che alza definitamente bandiera bianca. Bucci anticipa il sempre più indemoniato Vasari di un soffio, ma si arrende ancora nel finale. Da sinistra a destra, Caterino sciabola per Tanino che colpisce al volo. Una spaccata in corsa da vedere e rivedere: per capirci qualcosa. Dalla curva, l’effetto è un flipper che finisce col muovere la rete. Quel tanto che basta per capire: è entrata ed è qui la festa. Sogno o son desto: entrambe, le accendo. La calma è imposta dalla ragione, non dal cuore: siamo soltanto ad inizio stagione. Ma non era un fuoco di paglia. Questi leoni avevano appena iniziato a ruggire. Il loro gregge, a crederci. Perché uno spettacolo del genere, da queste parti, non si era mai visto. Il ‘Palermo dei picciotti’ nasce in una serata di fine agosto. Soltanto per la mia generazione, ha rappresentato uno spartiacque. Non c’è un prima, non c’è un dopo: soltanto perché è durato troppo poco.

Dario Romano
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L’ONTA

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1983-1984

Prima o poi, doveva capitare. Più di ottant’anni di storia, la metà trascorsa per buona parte nei piani alti. L’attico mai raggiunto, ma un posto nel palazzo buono è spesso guadagnato. Ogni tanto, si è spesso sognato, anche più del dovuto. Ma quando l’ascensore non sale più, prima o poi ti manda giù. E arriva l’onta della prima retrocessione del Palermo dalla serie cadetta. La disdetta, si materializza dopo una salvezza per il rotto della cuffia. Gianni De Rosa saluta: il bomber lascia il promontorio per un vulcano. Dal Pellegrino al Vesuvio, il passo è un addio più deleterio del previsto. Per sostituirlo, arriva un giovanotto che di primo acchito sembra uno straniero. Ma Hubert Pircher è italiano: nato a Bressanone, il virgulto pare un predestinato. Paga qualche infortunio di troppo, ma debutta col botto in quel di Bergamo. Il rodaggio è spesso interrotto, ma il coraggio non manca: alla prima occasione in massima serie, trova la rete e più di un estimatore. Dall’Atalanta all’Ascoli, l’attaccante mostra di saperci fare, soprattutto se tirato a lucido. Sei marcature in pochi mesi gli valgono un presunto viaggio premio in Spagna. Pensateci: se non fosse stato per la pubalgia che lo rimette ai box, al posto di Franco Selvaggi il ‘Vecio’ avrebbe insignito, suo malgrado, proprio Pircher del titolo di campione del Mondo. Il destino, però, gli riserva altro: ovvero, il PalermoGustavo Giagnoni è reduce dal flop col Cagliari. Il tecnico sardo scende in B ma cambia isola. Le premesse sarebbero allettanti: la squadra è valida, l’ambiente bello caldo, in tutti i sensi. Dovrà fare a meno del colbacco che lo contraddistingue, ma anche dei buoni propositi. Si parte male con l’eliminazione in coppa, dove fa ancora bella mostra il mitico sponsor VINI CORVO. Il nuovo, Pasta Ferrara, non porterà fortuna. L’inizio del campionato, invece, è meno sconfortante. Reti bianche a Trieste, debutto in casa di misura sulla Sambenedettese. La porta è inviolata, fino alla terza: il ritorno in Sardegna costa la prima sconfitta, cancellata dall’affermazione contro il Catanzaro. Si segna poco, si subisce ancora meno. Segnali incoraggianti, fino a quando il Palermo ingrana la quarta ed inquadra la porta che è una bellezza. Cinquina al Pescara, due reti alla Pistoiese con Pircher protagonista. La difesa è il punto forte: in trasferta, non si fa voce grossa ma si tiene e basta. E potrebbe bastare, per sognare in grande. Quando, a Dicembre inoltrato, Gianni De Biasi la sblocca in zona Cesarini col Campobasso, i Rosanero salgono addirittura al quarto posto. Dopo, cambierà tutto: perché il Palermo non vince più. Fino a Marzo, quando si strappano due punti all’Empoli. Il reparto difensivo si è fatto colabrodo, la Favorita da fortino a terra di conquista ed in trasferta è spesso bandiera bianca. Il cambio al timone è ormai inevitabile: a Giagnoni, subentra Graziano Landoni. Al cuor non si comanda: l’ex regista dei rosa è un palermitano adottato. Prova la scossa: a Cava, il vantaggio di Massimo De Stefanis arriva vicini allo scadere. C’è un rigore nel finale: per la Cavese, trasforma Roberto AmodioGiuseppe Volpecina vive una stagione particolare: incide sotto rete, a dimostrare che a mancare è proprio lo stoccatore eccezionale. Il capocannoniere sarà De Stefanis, che arriva a quota undici. Non bastano, come qualche bugia che Giampaolo Montesano ci riserva ancora. Fino alla farsa di Cremona: tre reti per parte che destano più di un sospetto. Fatale il pari col Cesena, inutile la vittoria finale col Monza. Un punto in meno equivale al baratro. La classifica è cortissima: AtalantaComo e Cremonese staccano il biglietto, ma senza impressionare più di tanto. Tra i Rosanero ed i Grigiorossi, giunti al terzo posto utile per il salto, il distacco è di undici punti: non sono molti. PistoieseCavese ed il Catanzaro fanalino, ci fanno compagnia al piano più sotto. Io, piango a dirotto: negli anni ottanta, ne vedrò di tutti i colori. Gioie e dolori: non potrebbe essere altrimenti. La storia è scritta da quei colori: dolce e amaro. Scoprirò il senso della mia passione: nel calcio, la serie non conta. Anche dopo l’onta: non sarà nulla, al confronto di un incubo dietro l’angolo.

Dario Romano
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STAZIONE BARBERA

Buona la prima, per il Palermo. Che a Tel Aviv strappa i tre punti e debutta tranquillo alle falde del Pellegrino. Per il secondo turno del gruppo, in Sicilia è attesa una locomotiva partita da molto lontano. Strano: anche il terzo avversario della competizione è rappresentato da un club ubicato a diversi km di distanza. Ma dopo i viaggi a Cipro ed Israele, i Rosanero stavolta attendono. Dalla Russia, ecco un convoglio del tutto particolare: allontanarsi dalla linea gialla. Alla stazione Barbera arriva il Lokomotiv Moskva. Espressione del Ministero per i Trasporti dell’Unione Sovietica, il sodalizio vede la luce nel 1922, accodandosi alle rivali cittadine che nella capitale abbondano. SpartakCSKADinamo e Torpedo spadroneggiano a Mosca e vasti dintorni. Eppure, i Ferrovieri si guadagnano spazio. Sgomitano fino al punto di comparire in un Albo ristretto: due coppe nazionali e poi il botto alla dissoluzione dell’URSS. Il team che sfiderà il Palermo di Gigi Delneri, ha trionfato in patria nel 2002 e nel 2004 e vuol fare bene anche in Europa. Tra gli undici agli ordini di Vladimir Eshtrekov, scorgiamo delle vecchie conoscenze del calcio nostrano, a cominciare da Francesco Ruopolo. In prestito dal Parma, solo una toccata e fuga l’esperienza estera dell’attaccante. La sua stagione migliore è di là da venire: con la Dea, soprattutto. Francisco Govinho Lima arriva in Italia nella stagione 1999-2000. LecceBologna e Roma: con la Lupa, l’esperienza più longeva del centrocampista brasiliano più di lotta che di governo. Vivrà un’annata anomala: biglietto di andata e ritorno per e dal Qatar. Ma nella capitale russa, ad attenderlo, stavolta tocca ai Biancoazzurri della Dinamo. A Brescia, presto gli ultimi sprazzi di un certo livello. In panchina e nel finale in campo ecco il bielorusso Sergej Gurenko. Ex istituzione proprio dei Ferrovieri, fa la meteora coi Giallorossi, col Real Saragozza e col Parma. Torna alla base: per l’auge, attende ancora. Nelle vesti di allenatore, più vice che protagonista. Il capitano è l’estremo difensore: nulla a che vedere col Belpaese, ma Sergej Ovchinnikov suona familiare. Tra LokomotivBenfica e Porto lo abbiamo visto spesso tra i pali in varie competizioni internazionali. Che dire: sta per iniziare una gara niente male.

Con tutto il rispetto per gli avversari sin qui affrontati, i russi sembrano di un’altra pasta. Nel Palermo, il rumeno Codrea rileva il Genio, mentre in attacco è Pepe a far coppia con l’Airone. Partono bene i rosa, con Caracciolo che fa a sportellate senza trovare la rete, ma una botta al naso. Tiene duro, finché non lo rileva, a pochi secondi dall’intervallo, l’evanescente Makinwa. Per il nigeriano, nessun colpo di rilievo: la vetrina internazionale, per le capriole, resta chiusa. Intanto, Mariano rischia grosso: il retropassaggio di González al connazionale Andújar è irregolare. Il portiere la prende con le mani, ma per la conseguente punizione in area di rigore nessun rischio: ribatte la barriera. Scampata bella, anche quando Khokhlov calcia alto a due passi dal dischetto. Nel finale della prima frazione, è Pepe a sfiorare la realizzazione: la testa non è il suo forte, ma il tuffo è opera d’arte. Il resto, è parte di un portiere che respinge da par suo: Ovchinnikov non è Lev Jašin, il mitico Ragno Nero della Dinamo, ma in quanto a presenza non scherza affatto. La ripresa si apre con un’altra opportunità per Pepe, che non inquadra la porta, ma è Izmailov che spaventa: ha solo un ostacolo da superare, l’estremo difensore. Ma spreca la clamorosa occasione a causa della sua imprecisione. Palermo, occhio al contropiede: se non puoi vincere, non la perdere. La Lokomotiv ci crede, mentre nei padroni di casa il solo a tentarci è ancora e sempre lui, Pepe: ma il portierone russo è un ostacolo troppo grosso. Vedo più nero che rosa, nel finale, con Khokhlov che sfiora ancora il vantaggio, ma con la testa di Barone è più preciso: una capocciata di frustrazione che gli costa l’espulsione. Le han prese, i Rosanero, un po’ ammaccati ma imbattuti. Un punto d’oro, rimediato al cospetto di un avversario più esperto, ben messo in campo e pronto a tutto. Resto soddisfatto: con tutto il rispetto per Cipro ed Israele, il primo match che mi fa sentire per la prima volta davvero in Europa è proprio questo. Quando al Barbera si fermò una locomotiva giunta da un Paese pur sempre lontano. Quello che oggi, purtroppo, ci fa tremare oltremodo e tutt’altro che per una partita di calcio.

Dario Romano
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UN GIOCO SEMPLICE

CANGINI E DI CARLO

Domenico Di Carlo arriva al Palermo nell’anno della rinascita. Resta per tre stagioni, lasciando i rosa per Vicenza: proprio in Veneto, arriveranno le maggiori soddisfazioni di una carriera onesta. Non solo una vita da mediano: c’è anche di più. Perché Mimmo, quando occorre, veste i panni del centrale. Lo abbiamo conosciuto così, nei campi polverosi della quarta e terza serie, compresi i terreni spelacchiati del Provinciale di Trapani e di una Favorita che si stava rifacendo il look: gli anni ottanta del nostro calcio, si chiudono con la rassegna iridata che ci riserverà le notti magiche. Ed un Palermo che ci prova, ma non ci riesce: per l’agognato ritorno in cadetteria, bisognava pazientare ancora un po’: giusto un annetto. Nativo di Cassino, in Provincia di Frosinone, Di Carlo si segnala per la correttezza, l’impegno profuso, il vizietto di qualche goal e quella parola che non è mai fuori posto. Un professionista esemplare, innamorato del pallone e di un mondo che continua a frequentare in prima fila: un posto in panca, non glielo si nega. Vent’anni al nord, senza un exploit e qualche flop di troppo: adesso è fermo, ma io ce lo vedo, al timone del Palermo. Dove adesso siede Silvio, che proprio a Mimmo, a bordo campo, ha riservato un bel calcione laddove non batte il sole e, per fortuna, meno duole. Incidenti di percorso: nel suo ruolo da giocatore, il laziale le avrà date e prese altrettanto. Silvio, invece, lo sa bene: per il fattaccio di quel giorno, non basterebbero neanche le scuse. Chiusa parentesi, si riapre il sipario. Nella foto, a portar palla non è un regista, ma un attaccante di quelli vecchio stampo. All’anagrafe, è Cangini Sandro. Un panzer come quelli belli di una volta: l’andamento è lento, ma che portento. Sarà che il calcio di una volta ti resta nelle ossa, ma con un centravanti così, mi son sentito sempre più tranquillo. L’area avversaria la voglio vedere messa a ferro e fuoco, con un carrarmato pronto a spaccare tutto. Il cross giusto e ci pensa il virgulto di turno. Cangini non va a referto spesso: tutt’altro. Undici reti in due stagioni fanno storcere il naso, più che strabuzzare gli occhi. Però mi si sloga la mascella, quando Massimiliano Favo chiude il triangolo e lo mette comodo comodo, a due passi da una porta difesa dal malcapitato portiere del malcapitato Catania di turno: che spettacolo e che boato. La sua annata d’oro era stata alla Vis Pesaro: in Sicilia, soltanto gli ultimi colpi di un certo rilievo. Sandro non avrà mai dimenticato la sensazione del Rosanero addosso. In un periodo dove il calcio era diverso e bastava poco, per affezionarsi ad un giocatore che non avrà reso come aspettato, ma che qualche gioia ti ha lo stesso regalato. Negli anni del tiki taka, delle squadre racchiuse in un fazzoletto, della corsa prima di tutto ed al diavolo tutto il resto, mi resta questo scatto. A ricordarci come il calcio, in fondo in fondo, è e soprattutto era un gioco semplice. Johan Cruijff chiude il concetto da lui espresso in prima battuta e spesso rispolverato a buon proposito, aggiungendo un piccolo dettaglio: che ‘giocare un calcio semplice è la cosa più difficile.’ In effetti, che ci vuole. Sei un mediano, vedi che il centravanti porta palla. Potresti restare a guardare cosa succede, se è il caso devi farti trovare pronto a coprire. Ed invece, Mimmo prende fiato e scatta, come una molla. Sta esercitando la massima espressione che il ‘Profeta del goal’ ci ha lasciato in eredità: il Calcio totale. Tutti che sanno fare tutto. La cosiddetta sovrapposizione creerà superiorità numerica, spazio per sé o per il compagno. Che potrà liberarsi più facilmente al tiro o scegliere l’assist. Questa è mentalità offensiva, vincente. La summa, potete rivederla a ben altri livelli in quel di Upton Park, tempio purtroppo demolito degli Hammers. Dove il Palermo di Francesco Guidolin espugna il salotto londinese del West Ham United con una rete dell’AironeAndrea CaraccioloFábio Simplício soffia di forza il pallone a Benayoun, serve Aimo Diana che scambia con Mattia Cassani. Il terzino si è appunto sovrapposto: ha tolto un probabile controllore al compagno, che adesso è libero per metterla ‘in the box’, proprio come dicono da quelle parti. La sovrapposizione dell’esterno, nell’evolversi dell’azione, è stata determinante. Quel goal è anche frutto del caso, ma di uno schema studiato, figlio della mentalità vincente inculcata da un allenatore che lo era altrettanto. Vedere per credere: in fondo, è così facile. Come giocare a calcio: come ci insegnano Sandro e Mimmo in uno scatto che, ormai, ha fatto i suoi trent’anni. Ma trasuda ancora di calcio: quello semplice. Il più difficile.

Dario Romano
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BASSO LIVELLO

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 1998-1999

L’ultima annata con Roberto Biffi in rosa. Un addio che chiude un’epoca e coincide con un nuovo inizio: al Palermo, sta cambiando tutto. La promozione sfiorata è l’ultimo atto di una proprietà con l’acqua alla gola: ripescata e proiettata verso un obiettivo proibitivo alla vigilia, ma alla portata per un livello della categoria più basso del previsto. Quindici vittorie, undici pareggi ed otto sconfitte. Trentasei reti realizzate e trenta subite. In classifica, il Palermo chiude secondo, a due punti dalla sorprendente Fermana. Terza la Juve Stabia, mentre la quarta piazza sorride al Giulianova. L’ultima posizione utile per la qualificazione ai Playoff è occupata dal Savoia, che otterrà la promozione a discapito proprio dei Rosanero. La compagine di Torre Annunziata termina il campionato a quota quarantanove, in compagnia del Castel di Sangro e della Nocerina, ma ha la meglio sulle avversarie grazie ai confronti diretti. I Playout condanneranno la famigerata Battipagliese, il Foggia e l’Acireale. Salve, invece, Marsala ed Ancona. Un torneo anomalo, per il Palermo, che fino a Novembre disputa le gare interne al velodromo. Massimo Morgia fa dell’impianto un piccolo fortino: gli spazi stretti favoriscono il suo gioco e gli spunti di Luca Puccinelli, la rivelazione assoluta. Ma a mancare è un cannoniere di categoria, infatti lo stesso Puccinelli e Andrea D’Amblè risultano i migliori marcatori con appena cinque centri a testa: se non è un record, poco ci manca. Considerando il benedetto ripescaggio e l’esilio momentaneo al Paolo Borsellino, la sfiorata promozione desta comunque sensazione. Le sconfitte interne contro Battipagliese (arridaglie) e Lodigiani, tuttavia, risultano decisive (proprio a Battipaglia era arrivato il risultato più convincente della stagione, uno 0-3 a favore). Ma non tanto quanto la disfatta alla penultima col Giulianova: costa le ultime speranze per il salto diretto. La capolista, invece, viene battuta sia all’andata che al ritorno, con identico risultato: uno a zero risicato. Ma è il Savoia, la bestia nera. Vince in casa alla seconda giornata con due reti di scarto e cade nel confronto diretto del ritorno: sempre il minimo sindacale, il solito uno a zero. Al momento decisivo, si afferma prima sul neutro del San Paolo e idem alla Favorita, di misura. Palermo a reti bianche, senza un vero attaccante. A fare da contorno, gli scontri sugli spalti: per una di quelle giornate più nere che rosa della nostra storia. Nella foto manca il portiere titolare: Vincenzo Sicignano, sostituito da Luca Aprile. Curiosità finale: a Nocera, prima giornata al giro di boa, tira già brutta aria, poiché si perde e si finisce addirittura in sette. Espulsi VicèBiffiAntonaccio e Picconi. Tu chiamale, se vuoi, picconate.

Dario Romano
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A VOLTE RITORNANO

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1975-1976

Una salvezza ed una promozione. Il precedente di Ninetto sulla panchina del Palermo fa ben sperare. Ma il ritorno di De Grandi è un fiasco. Succede spesso, nel calcio. Chiamatela pure minestra riscaldata: la sostanza, non cambia. Un pari e tre sconfitte in coppa: si sente forte, l’allarme. Assordante dalle prime botte in campionato: due vittorie e due pari, a fronte di cinque sconfitte, di cui una col Taranto alla Favorita. Per ‘Fiordaliso’, arriva il benservito. A malincuore, ma prevale la ragione. Questo andamento, mostra i rosa allo sbando. Lo scossone porta bene: un altro ritorno, gradito alla piazza ed alla tifoseria. Tonino De Bellis ha chiuso col calcio giocato da quattro stagioni: si meriterebbe un monumento fuori dallo stadio. Pietra a memoria imperitura. Non lascia Palermo, non la lascerà mai: figuriamoci quando il grido d’aiuto giunge dritto ad un cuore Rosanero. Lascia le giovanili e si cimenta nella nuova avventura. E Renzo Barbera gongola: la scelta, si rivela azzeccata. Il Palermo batte la Reggiana, perde di misura al Partenio, ma esce indenne dal Cibali. Torna a vincere con la Sambenedettese, ma ottiene quattro punti nelle restanti sei gare. Si chiude un girone d’andata complicato, ma la squadra sembra più compatta. Malgrado tutto, poiché lo stesso Tonino sente puzza di bruciato. Lo spogliatoio è caldo, ma nel ritorno tanta foga trova sfogo in campo, accendendo gli animi degli astanti: c’è da restare increduli. Il Palermo è trasformato: ne esce un filotto di sei affermazioni e quattro pari, da aggiungere al punto rimediato col Varese a Febbraio, che prelude al giro di boa. La caduta a San Benedetto del Tronto è indolore. Peccato, perché a pensarci bene, con un piccolo sforzo, si poteva anche sognare. Ma il Palermo è pago. Una vittoria, tre pareggi e due sconfitte bastano, per tenere a distanza la zona pericolo. Si chiude al nono posto, undicesimo per la folta compagnia, a meno sei dal baratro e meno sette dal sogno. Salgono in massima serie GenoaCatanzaro e Foggia, mentre lasciano la cadetteria PiacenzaBrindisi e la Reggiana fanalino di coda. L’esplosione di Guido Magherini, prelevato in estate dal Brindisi e mai più così convincente in carriera, le incursioni di Arturo Ballabio e l’esperienza di Aldo Cerantola ed Erminio Favalli hanno sorretto una baracca che stava per crollare. Il resto, ce lo ha messo Tonino. Che torna a sentire quella puzza che non lo convince. Si dimette, poi cede al cuore ma non alla ragione. Riparte in sella, su un Palermo imbizzarrito.

Dario Romano
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PIETRO IL GRANDE

MAIELLARO

Un primo assaggio e ci prendi gusto. Stagione 1984-’85: nel Palermo di Tom RosatiPietro Maiellaro e Antonio De Vitis portano nuova linfa ad una squadra esperta, che sale in carrozza per la serie cadetta. Il fantasista è un giovanotto, ma guardate la foto: non teme nessuno. Sguardo torvo, ma è un attimo e ti uccella di brutto. La coppia pugliese contribuisce a suon di assist e reti e poi saluta: missione compiuta. Faranno strada, questo è sicuro. Per Pietro, il biglietto non è di sola andata: ci sarà un gradito ritorno. Quando mi invaghisco di un fuoriclasse, l’amore è a prima vista: nel caso di Maiellaro, ci avevo visto giusto. Fossi stato il solo: la classe non è acqua, ma sostanza. Che nel suo caso, abbonda. A colpirmi, la postura e le movenze. Sembrava un pezzo di legno, irrigidito quando al possesso palla. Poi partiva la danza, con quel tronco che iniziava ad ondeggiare come fosse a galla, ma in balìa delle onde. Uno spettacolo, impreziosito in seguito dall’esperienza accumulata nei campi caldi del meridione. Pietro, dopo il Palermo, riscalda i cuori degli avventori in quel di Taranto, dove inizia a far sul serio. Agli ordini di Mimmo Renna, i Rossoblù volano, sospinti dalle reti di Nicola D’Ottavio a dal piede destro, sempre più caldo, di Maiellaro. Che ha l’occasione di misurarsi nel campionato che ha conquistato per due volte consecutive. Farà coppia ancora con AntonioDe Vitis, dopo Palermo, è esploso a Salerno ed è solo l’inizio. Gli Ionici conquistano la promozione ed una salvezza sudata, con tanto di appendice felice: agli spareggi, la fanno franca. La palma, se la aggiudicano i trascinatori. L’attaccante arriva a diciotto marcature, mentre Pietro è ormai ‘il Grande’. Per lo Zar, è rivoluzione: da salvatore della patria a traditore, nel calcio, il passo è breve. Si può capire: perché il suo passaggio alla Bari è un colpo troppo basso. Il trasferimento è pagato a peso d’oro: supera i due miliardi di lire. Il giocatore è maturo per il salto in alto: quattro stagioni con i Galletti e la platea più consona al suo talento sopraffino. Son diverse, le perle, ad incastonare il genio racchiuso nel funambolo. Chi se lo è goduto dal vivo, non avrà mai dimenticato: quaranta metri possono bastare, per battere il malcapitato Gianluigi Valeriani, portiere del Bologna. La porta che si spalanca, è adesso quella dal colore ViolaPietro è accolto a Firenze, ma non come il nuovo Messia. Di profeti, la rosa gigliata abbonda. Da Gabriel Omar Batistuta al compianto Stefano: con Borgonovo, l’intesa è perfetta, ma si contempla più nello spogliatoio che in campo. L’esperienza alla Fiorentina non è tuttavia sprecata: riguardo a Maiellaro, ho sempre pensato che la sua stella si sia come accodata, in un firmamento più luminoso del previsto. Poco male, le poesie si possono scrivere anche con la maglia del Venezia o del Cosenza. Il ‘Poeta 2’ (non si spodesta, sua eccellenza Claudio Sala) si divora mezza Viola tra i Lupi della Sila: una rete da antologia. E torna alla Favorita, fiore all’occhiello di uno squadrone che non avevo ancora visto, dalle nostre parti. Un fuoco di paglia: molto meglio il ‘Palermo dei picciotti’. Peccato che il vero Sasà Campilongo si sia visto soltanto a Via del mare, con la cinquina personale: la coppia prometteva faville. Ma Pietro incanta, come ai primi tempi: sfiora la doppia cifra, mostrando che il repertorio è ancora vasto. È anche il canto del cigno: che si concede nuvole e spiagge nel lontano Messico. Los Auriazules del Tigres UANL non se ne saranno accorti più di tanto. Quel nuovo arrivato, lo straniero sceso in campo per qualche scampolo, sembra proprio uno di loro. E lo sguardo torvo non tragga in inganno: è di un uomo fiero, che le ha prese dalle difese più attrezzate ed è giunto fin lì per volersi soltanto divertire. E perché no, monetizzare: se lo merita. ‘Il Maradona del Tavoliere’, forse, non avrà fatto in tempo, nel Nuovo Mondo, a guadagnarsi un altro soprannome. Chissà: da quelle parti, ci mettono poco. L’ennesimo: riservato ai più grandi. Come a Pietro: non a caso e non è da poco. Proprio il Grande.

Dario Romano
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FUOCO DI PAGLIA

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1969-1970

L’avvio è da tregenda. Al Comunale, contro la Juve, la rete di Troja dopo appena quattro minuti. Soltanto un’illusione: il crucco Helmut Haller pareggia all’undicesimo, ma il Palermo tiene il campo. Poi ancora lui, a ripresa ben inoltrata. Nel finale, Lamberto Leonardi e l’ex Beppe Furino calano il poker. Il calendario non dà una mano: alla Favorita, per la seconda giornata, cala la corazzata nerazzurra. Stavolta è Franco Causio ad illudere: il rigore trasformato da Mario Bertini a due passi dall’intervallo, è un segnale sconfortante. Ci pensa FacchettiGiacinto Magno, a togliere le speranze. Il primo punto arriva alla quinta: clamoroso, sul neutro del Cibali ed al cospetto del Diavolo: porte inviolate. Si racimola anche coi Granata, in una trasferta sfortunata: l’autorete di Angelo Cereser, all’ottavo minuto, dura fino al decreto sancito da un fischietto indigesto. Dagli undici metri, Fabrizio Poletti impatta a venti dalla fine. Si ha la sensazione che i Rosanero non siano proprio da buttare: partono bene, tengono botta, anche di fronte allo squadrone di turno. Ma basta un episodio sfavorevole e ci si scioglie. E quella che sembrerebbe una svolta, non si rivela altro che un fuoco di paglia. Il team di Carmelo Di Bella asfalta la Sampdoria e poi scrive un po’ di storia. L’autore per eccellenza della stagione, si chiama Gigi Riva, che a suon di reti sta ribaltando le gerarchie del campionato. Il complesso guidato da Manlio Scopigno, l’allenatore ‘Filosofo’, è imbattuto. Ma all’ombra del Pellegrino, oltre a ‘Rombo di Tuono’, bisogna fare i conti con ‘il bel saraceno’. A Cagliari si vive una favola, ma a Palermo c’è spazio per la poesia: targata Tanino Troja. Quarantesimo: cross di Sergio Pellizzaro e colpo di testa in tuffo del profeta in patria. Sono attimi, gesti tecnici scaturiti da doti fisiche non comuni ed intelligenza per grazia ricevuta. La Favorita è una bolgia: da terra di conquista, a fortino. All’Olimpico, il solito vantaggio sfumato con la Roma, poi il pari ad occhiali col Napoli, in un derby del Sud avvelenato dal recente passato. Si chiude l’andata con la sconfitta di Firenze, con Silvino Bercellino che realizza il goal della bandiera solo allo scadere. Si riparte con la Juve, ma non c’è storia. Si sogna a San Siro, ma Bonimba e ancora Bertini colpiscono duro in un finale amaro. Il concetto è chiaro: la salvezza, passa dalle gare in casa. Tre vittorie e tre pari non bastano, poiché altrove si ottiene soltanto un punto al San PaoloPalermo e Brescia finiscono staccate di quattro lunghezze dalla Samp, salva al quartultimo posto. Fanalino di coda, i Galletti baresi. Questa, la massima serie che prelude a Mexico ’70, alla partita del secolo. L’Italia pedatoria che s’inchina al Cagliari di Riva, la Nazionale che cede in finale, dopo averci fatto sognare. Un po’ come veder salvare il Palermo: che ha battuto soltanto qualche colpo. Ma il fuoco di paglia, nel calcio, non basta.

Dario Romano
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ALLE FALDE DEL PELLEGRINO

TANINO TROJA

Anche gli Dei s’inchinano, al cospetto degli umani. Cui l’Olimpo non è precluso: quello del calcio, è riservato ai fuoriclasse. Ma le porte a tutti sono aperte. Basta saperci fare e quel coraggio che non guasta: per provare. Il boato a certificare che ci sei riuscito: stai toccando il cielo con un dito e non sei mica il solo. Con te, tutto un popolo: di fede Rosanero‘Il bel saraceno’ è palermitano, si chiama Gaetano ma per gli amici è semplicemente Tanino. Per i tifosi, è Troja: il più forte che ci sia. Nasce a Resuttana e nella Faldese si segnala: un piccolo club che dimora proprio alle falde del Pellegrino. C’è anche dell’altro, ma non è ancora tempo. Il virgulto impazza in PROMOZIONE e si guadagna l’occasione: un biglietto di andata e ritorno per e da Paternò. Una sorta di esame superato a pieni voti: alle falde dell’Etna, la solfa non cambia. Anche in SERIE D, il ragazzo dalla carnagione scura si prende la scena e guadagna il ritorno a casa. Stavolta, il promontorio più bello del mondo se lo godrà da protagonista e da professionista: Troja, è felice come una pasqua. Il debutto con il Palermo è col botto: doppietta alla Favorita alle spese del Trani. Non male, per un debuttante, lanciato col dovuto incoraggiamento dall’allenatore del momento: l’ungherese László Székely. Scorre il Danubio, sulla panca dei rosa, partiti forte nel campionato cadetto iniziato nel Settembre del ’64. Poi, il freno a amano e l’avvicendamento col ritorno di Cesto, per finire con CarloFacchini traghetta il Palermo, già stazionato all’undicesimo posto. La stagione da incorniciare per Giorgio Tinazzi, che supera la doppia cifra, mentre Troja la sfiora. Buona la prima, per la punta, che si erge a profeta in patria, tenendo botta in un torneo da tregenda. Dodici marcature e la salvezza per il rotto della cuffia. La vera notizia è che bisogna fare cassa e per Tanino, è pronta la valigia: destinazione, Brescia. La prima volta, lontano dalla sua terra, nella nebbia lombarda. Con la Leonessa, non si ingrana: per la prima vittoria, bisogna aspettare fino alla decima giornata. La doppietta dell’attaccante è una certifica: per Tanino, l’ulteriore gradino non è di troppo. La massima serie presenta il conto alla seconda stagione, ma non per l’attaccante: agli ordini di Azeglio Vicini, il Brescia arranca, ma non Troja, che fa il suo. È il cannoniere di una squadra che saluta la SERIE A, ma non l’accompagna nella mesta discesa. La buona novella è il Palermo di Carmelo Di Bella, il catanese artefice di una promozione inaspettata. Un’occasione troppo ghiotta: Tanino è il tassello giusto, motivato e ben collaudato. Sembra una favola, ma c’è anche la leggenda. L’ennesima doppietta, stavolta, non basta: Palermo-Napoli si chiude con un il gesto dell’ombrello di un indemoniato Altafini e con un elicottero atterrato addirittura in campo. Si disputa anche la COPPA MITROPA, la seconda e ultima partecipazione ad un torneo europeo, prima delle gioie del nuovo millennio. Ma il bello, sta per arrivare. Non per il Palermo, che ripiomba nel baratro. La stagione che incorona il Cagliari campione, ci vede infatti scivolare: mentre Tanino vola, da par suo. Due sole sconfitte per i sardi: contro l’Inter e alle falde: sempre del Pellegrino. Cross di Sergio Pellizzaro e colpo di testa in tuffo: Gigi Riva che s’inchina, la curva che esulta a squarciagola e Tanino è lassù, proprio a toccare il cielo con un dito. Non è l’ultimo gesto acrobatico: contro il Genoa, un’altra perla nello stesso teatro. Ed ecco la ‘chilena saracena’, dal sottoscritto colorata e narrata. Per il Palermo di Renzo Barbera e ‘Ninetto’ De Grandi, l’ultima risalita. L’ascensore si dirige verso il basso e Tanino saluta: destinazione Campania. Napoli, il Vesuvio. Non è proprio la stessa cosa, per un giocatore che ormai è più che un tifoso. Bollato come un bidone, l’attaccante scende di due categorie, fino in Puglia. Una decina di reti con i Galletti e l’esperienza inusitata al Catania, tentato più dalla ragione e non dal cuore: a guidare i Rossazzurri, c’è lo stesso Di Bella. Ma un Tanino ormai al canto del cigno, non se la sente di giocare contro il Palermo: chiede il cambio. Nulla di clamoroso, al Cibali. Mentre, al ritorno, neanche accetta la panchina e si accomoda in tribuna. Figuriamoci: non se ne parla proprio. Alle falde del PellegrinoTanino ci è cresciuto. E ha toccato il cielo: con un dito.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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LA PRIMA IN A

Sono passati quattro anni dal cambio di denominazione della competizione: il torneo per eccellenza dello sport più amato e seguito del Belpaese passa da DIVISIONE NAZIONALE a SERIE A. La formula del GIRONE UNICO è la vera rivoluzione: coinvolge tutto lo Stivale in gare di andata e ritorno. Per i tempi, non proprio comodo: stretta e lunga, l’Italia, unita da un pallone a miracol mostrare. Potrebbe bastare, se non fosse per i venti di guerra all’orizzonte. Distraiamo le masse, presto inorgoglite da un cielo sempre più azzurro: il calcio è anche questo. Senso di appartenenza, campanilismo, ma ormai anche propaganda. Lo scopo dei più grandi: aggiudicarsi la coppa, di stile imperialista, che vedete in bella mostra. Non poteva essere altrimenti: felici e contenti, coloro che possono partecipare per la prima volta. È il caso del Palermo, che ha dominato la serie cadetta e debutta. Esito amaro: il dolce arriverà, più buono del previsto. I Rosanero mostrano nel petto un’aquila di tutto rispetto. Non è il logo ufficiale, che resta quello romboidale, davvero niente male. Ma a prevalere, sono i Leoni. Le Bianche Casacche non vivono più l’epoca d’oro, chiusa dieci anni or sono. Ma annoverano un virgulto dal futuro assicurato: il giovanotto da tenere d’occhio si chiama Silvio Piola. Non è il solo lungagnone a spiccare sul terreno di gioco: dalla parte opposta, figura ‘Il Vichingo’. Il brianzolo Carlo Radice, che ha trascinato il Palermo a suon di reti e per i vercellesi rappresenta il pericolo pubblico. Ad innescarlo, il nuovo arrivato: mica uno qualunque. Héctor Pedro Scarone Beretta è un campione. Certificato dal titolo iridato da poco conquistato, ma soprattutto per la fama che si porta appresso. A cominciare dall’apelido, che per un sudamericano vale quanto un passaporto. Lui è un grande: a detta di Giuseppe Meazza, semplicemente il migliore. E quindi i soprannomi si sprecano: ‘El mago’‘el Gardel del fútbol’‘la Borelli’. Sui primi due, facile giungere a semplici conclusioni. Sul terzo, emerge il capriccio: l’uruguayano è un fuoriclasse, ma oltre la ‘garra’ c’è di più. Dalla diva del cinema alla dea Eupalla, il passo è breve, ma Scarone è un colpo che vale da solo il prezzo del biglietto. Un pezzo da novanta, messo a disposizione dalla sagace opera del duo Barresi-Municchi: il Presidente ed il Direttore Sportivo di un Palermo ben attrezzato, dopo il salto in alto. Nel reparto avanzato, un punto fermo è l’argentino Américo Ruffino. Il tango, dalle nostre parti, da tentazione diverrà tradizione. L’ungherese Gyula Feldmann schiera i rosa con il ‘metodo’: è il modulo in voga. Archimede Valeriani in porta, in difesa due terzini d’antan, che non arano la fascia: Plinio Paolini e Luigi ZiroliGuglielmo Piantoni e Alessandro Gambino i mediani, con Gennaro Santillo al centro. La cavalleria è tutta in avanti: lo stesso RadiceGiovanni Chiecchi, ovviamente ScaroneRuffino e Antonio Blasevich. Origine jugoslava, vanta novanta gare e quaranta reti con l’Ambrosiana. L’ex nerazzurro, è un altro fiore all’occhiello. Non figura uno dei protagonisti indiscussi, per questa prima: si tratta di Ettore Banchero, già in campo al secondo appuntamento. L’attacco non è statico: tutt’altro. Anche i ruoli, spesso, svariano: puoi immaginare come punta avanzata Radice, per le caratteristiche fisiche da torre ed ariete. Ed invece, capita che giostri sulla destra: era il calcio di una volta. In Piemonte il Palermo tiene per più di un tempo: poi crolla nella ripresa. Le cronache raccontano di una prestazione all’altezza, ma si paga lo stesso il dazio. Nella ripresa, la Pro passa con Depetrini e Degara. Non segna Piola: non è ancora una notizia. Che arriva da Alessandria: cade la Juve, quella del ‘Quinquennio’. In Piemonte, il ‘Quadrilatero’ non è più forte come una volta: ma batte ancora. I Rosanero sono attesi a Roma, sponda Lazio: poi un altro debutto, nel nuovo Littorio. A Palermo, per il calcio, c’è un nuovo teatro. Ed una squadra nel salotto buono.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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DR. JEKYLL E MR. HYDE

ANTONIO RIZZOLO

Un tiro al volo, col destro. Il San Paolo di sasso, ammutolito. In vantaggio dal primo tempo con Carnevale, i Partenopei si devono accontentare. Sprecano e scoprono che, a volte, anche Maradona non basta. Per la Lazio in maglia gialla, basta un cambio: fuori Di Canio, dentro un giovane virgulto. Materazzi ci ha visto giusto: vale il pareggio. L’autore della perla non mi è nuovo: a quel tempo, li divoravo, gli almanacchi. A colpirmi, è l’esecuzione: lo spiovente da sinistra e quel gesto tecnico dove c’è tutto. Coordinazione, determinazione, quel pizzico di fortuna che non guasta e una bandiera che non si alza. Questo me lo segno: chissà, se lo prende il Palermo. I sogni son desideri che si possono realizzare, anche al tempo delle vacche magre. Quando arriva l’annuncio, gongolo: arriva Antonio. Cui è legato un ricordo tra i più amari in assoluto, per i tifosi del dolce col retrogusto. La stagione maledetta, con quella retrocessione assurda e ingiusta, sancita dalla classifica avulsa. Poi le stragi: passa tutto in secondo piano. Torno al preludio, di un’annata tutt’altro che rosea: per la città, per i Rosanero. Neri sono pure i capelli del nuovo arrivato. Volto pulito, educato e timido: tutto il contrario del nuovo MessiaFelice Centofanti e allo stadio tutti quanti. E certo, perché in casa non si sgarra: soprattutto, non si passa. Il problema è fuori: neanche una vittoria. Il Palermo double face della stagione lo abbiamo analizzato a dovere. Non vale la pena, ripetersi. Ma su Antonio Rizzolo, impossibile non esprimersi. Faccia d’angelo, tutt’altro che sporca, come gli argentini d’antan. E questo che dovrebbe fare, mica la guerra. Beh, state a guardare, nella Favorita che si fa bolgia. Perché negli spogliatoi ci entra come Antonio, ma in campo ci va Rizzolo: come DR. Jekyll e Mr. Hyde. Un portento ed un avvertimento: chi cala in Sicilia, se la fa sotto. Le domande si sprecano, per gli avversari: come intendete fermarlo. Missione impossibile. A colpirmi, lo stesso dettaglio di quel tiro al volo che colpì il San Paolo e me come un fulmine. Altro che timido: Antonio ha lo zampino del Diavolo. Quando calcia lo fa con cattiveria, come volesse aggiungere l’ineluttabile ad una sentenza già scritta. Poi torna docile, con i piedi per terra, come tutto il Palermo. Il Palermo dei leoni e degli agnelli. L’attaccante parte per via del Mare, non può scendere in terza serie. Torna non appena ritorna la cadetteria. Il goal ancora nel sangue, ma cambiano i volti, le gerarchie: anche i progetti, pur se improvvisati. Nasce il Palermo dei picciotti, mentre Antonio paga dazio ed esce spesso malconcio. Ignazio non lo vede più di tanto: fa le valigie, il preludio ad un lungo peregrinare. E cosa mi fa più male: così preso da quel sogno inatteso, non ci avevo fatto neanche caso. Il tempo è tiranno, nel calcio ancora peggio. Ci si dimentica in fretta, anche della manna, quando tutto gira dalla parte giusta. Con i dolori, ecco invece rimpianti e paragoni. Ne abbiamo visti, fior di campioni, ma credetemi: quel fuoco addosso, al momento del fatidico calcio, non l’ho più visto. Del resto, non è da tutti: trasformarsi negli spogliatoi, lontano da occhi indiscreti, prima di scendere in campo. Da angelo a demonio: per Antonio Rizzolo, era un attimo.

Dario Romano
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IL MIO NUMERO 1

ROBERTO BIFFI E GIANLUCA BERTI

Vedere un portiere volteggiare tra i pali e dispensare qualche ‘miracolo’, non significa necessariamente che ci troviamo di fronte ad un campione o potenziale tale. Sono convinto che, dalla terza serie in su, chiunque, tra gli estremi difensori, avrà delle qualità: ovvio, altrimenti non ci arrivi al professionismo. Sì, perché i fattori che fanno emergere un estremo difensore dalla massa sono molteplici: concentrazione, senso della posizione, abilità nelle uscite e con i piedi, esplosività, sicurezza da infondere a tutto il reparto (ne è la guida), esperienza e continuità. Quest’ultima, la ritengo fondamentale: non puoi prenderle tutte e la partita dopo cacciare le farfalle. Dulcis in fundo, i rigori. Decisivi, poiché fanno la differenza: per il passaggio di un turno o per iscriversi all’Albo. Il compito è delicato, in toto. Provate ad immaginarvi in quei panni, tutto solo per lunghi tratti o attorniato da tutte le parti. Un monumento del ruolo come Zoff, ci spiega che, per mantenersi concentrato nei novanta minuti e passa, faceva la telecronaca mentale del match. Immaginatelo, il taciturno Dino: ‘Ecco Cabrini che avanza sulla sinistra, lo scambio con Tardelli, che evita un avversario e serve Rossi…’. Difficile pensarlo, ma è vero: lo racconta nella sua autobiografia. Un portierone, uno dei più grandi di sempre, ma col limite dei tiri dalla distanza. Non ha iniziato la carriera con una grande e all’inizio prendeva carrettate di reti. Non ne usciva bene, ci stava male. Walter Zengal’uomo ragno: un’autentica molla, improvvisamente arrugginita al momento fatidico e fatale della lotteria dagli undici metri. Angelo Peruzzi, il tarchiato: ma esplosività da vendere. Mi dava sempre l’impressione che si arrendeva soltanto quando non c’era più nulla da fare: non è poco. A conti fatti, il più vicino alla perfezione è Gigi Buffon. Non dico è stato, poiché ancora attivo. Ha avuto la fortuna di iniziare sin dall’esordio con, a supporto, un pacchetto difensivo di prim’ordine. Ma, altrettanto, ha mostrato che delle porte ne possedeva tutte lui le chiavi: erano la sua casa, fin da giovane. Ha raggiunto l’apice proprio quando il fisico iniziava a presentargli il conto del tempo, inesorabile come la sua ascesa. La premessa non è divagazione: arrivo al Palermo, dopo l’omaggio a dei mostri sacri, esclusi gli stranieri: dal pioniere Ricardo Zamora, detto ‘El Divino’, al ‘Ragno Nero’, il più grande di tutti i tempi (a detta di molti), ovvero Lev Jašin, fino a Gordon Banks, che su Pelé si è esibito da par suo nella ‘Parata del secolo’. Da par mio, il luccichio è riservato a Peter Schmeichel: l’essenza, la presenza. Si tratta pur sempre di un elenco infinito, caratterizzato da scelte dettate dai punti di vista. Passando ai Rosanero, la storia ha visto spesso abbassare la saracinesca anche all’ombra del Pellegrino. Una tradizione di prim’ordine, comprese le meteore. Parto dalla più luminosa: Carlo Mattrel, come rendimento di una singola stagione, rimane inarrivabile. Le cronache del ’61-’62 testimoniano una serie di interventi spettacolari, conditi da ben otto rigori parati su dieci. In realtà, sarebbero nove, ma uno fu ribattuto in rete: un mostro. Sorvolo su Alberto ‘Jimmy e Nonno volante’ Fontana e su Salvatore Sirigu. Entrambi sopra la media, ma senza rubare più di tanto la scena e soprattutto il mio cuore. Catturato di più da un Vicè Sicignano: batte forte, ancora e per sempre, anche a costo di bestemmie. Stefano Sorrentino lo conosciamo bene: un leader dentro e fuori dal campo. Dove ha salvato spesso il risultato con interventi sorprendenti. Avrebbe meritato una carriera di ben altro spessore ed un Palermo più forte. Chiudo il sipario con Gianluca Berti: il mio numero uno ideale. Sia nella prima versione capelluta e più guascona, che nella seconda, quella matura della promozione. Il concentrato di tutte le doti che deve avere un vero portiere. Poca accademia, tanta sostanza. Emanava sicurezza: c’è lui, possiamo stare tranquilli. Con quella dose di follia che ci fece impazzire tutti, nel finale più bello di una partita tra le più belle. C’era pure Robertone Biffi, quel giorno, il capitano qui immortalato al suo fianco. Il portiere all’attacco, non l’avevo mai visto: per l’occasione, Gianluca è capellone, ma gli schemi li rompe alla grande palla al piede. La perla arriva per un Palermo-Cesena riacciuffato da Giancarlo Ferrara, dopo la pennellata del Vasari. Il ‘Palermo dei picciotti’ ha stimolato il mio orgoglio più di ogni altro: quel giorno, ho pianto di gioia e non ero il solo. Il resto che verrà dopo: fantascienza trasformata in favola, ma senza lacrime versate a paragone. A mancare, anche, il lieto fine. Che ruolo, quello del portiere. Freddo nella sua solitudine, caldo nell’immaginario collettivo. Dispensatori di papere e miracoli: se ne fanno una serie, trovano la loro collocazione. Al di qua o al di là della sottile linea rossa, che sta tra il campione ed il bidone. Eppure, anche il meno dotato, almeno per una volta, vi avrà colpito. Perché, ricordiamolo sempre: quelli in porta, bravi o scarsi, sempre speciali sono.

Dario Romano
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