
Metin Oktay disputa una sola stagione al Palermo, quella del celebre miracolo costruito dal segretario Totò Vilardo. Nel 1961-1962, i Rosanero chiudono all’ottavo posto. Sono appena dodici le presenze, con tre marcature. Quando arriva in Sicilia, il turco è già un’istituzione del Galatasaray di Istanbul. Attaccante prolifico, realizza 103 reti in 105 presenze: una media di quasi un goal a gara. Ma nel Palermo di Remondini e Montez, è chiuso dai vari Fernando, De Robertis e Maestri. Torna alla squadra del cuore ed è boom: 298 presenze, 285 reti. Un’icona anche della Nazionale turca: una media pazzesca anche con la maglia Luna e Stelle, considerando che la mette 34 volte in 36 apparizioni. Ad Istanbul, Metin è ricoperto d’oro. A 55 anni, la tragedia che gli stronca la vita, in un incidente stradale. La società giallorossa gli dedica il centro sportivo, ma non solo: ogni anno la sua tomba è meta di pellegrinaggio per giocatori e tifosi. Un amore corrisposto, dal momento che proprio la scelta di non ritornare al club che lo lanciò, l’İzmirspor, fu la causa del divorzio dalla moglie: era la squadra della comune città natale degli sposi. Decisivo a ripetizione nei derby contro Fenerbahçe e Beşiktaş, si guadagnò il soprannome taçsız Kral, Re senza corona. Metin è stato spesso raffigurato in pose accattivanti, assiso sul trono come un vero e proprio Sovrano. Dispiace per la triste fine, ma anche per l’esperienza fugace all’ombra del Pellegrino. Dove non abbiamo visto una stella, ma una meteora. Il calcio turco recentemente è stato avvolto dalle polemiche, mentre tutto intorno calano le tenebre. Peccato: lo sport è aggregazione, non speculazione. Meglio quando ci racconta storie come questa: finita di colpo, ma col protagonista felice e contento, come un Re fuori dal tempo. Senza corona, ma col suo scettro.
Dario Romano
ILPALERMO.NET