
‘Ho trovato una città aperta, piena di fascino, con la sua storia, i monumenti, i suoi colori, i suoi sapori…’
Sandro Vanello è iscritto alla facoltà di architettura a Milano e di scendere in Sicilia non ne vuole proprio sapere. Ma a Palermo si laurea, si innamora di una bellissima donna e della città intera (tante le amicizie, soprattutto con Ferruccio Barbera). L’esordio nella massima serie è storico, perché subentra dalla panchina durante un Napoli-Verona: è il primo giocatore di movimento con il numero tredici del campionato italiano e la realizzazione della rete scaligera porta proprio la sua firma. La dimostrazione che dalla panchina si possono cambiare le partite: è una piccola ma significativa rivoluzione. Sandro torna all’Inter (che ne deteneva il cartellino) e dopo una stagione con sole otto presenze, fa le bizze alla notizia del suo trasferimento imminente al Palermo. Come visto, cambierà idea. Ben cinque stagioni all’ombra del Pellegrino, dove accende la luce. Le presenze saranno 151, condite da dodici reti e caratterizzate da una cadenza lenta ma sopraffina e soprattutto dalla precisione nei calci piazzati, preziosi assist per i compagni oppure conclusioni a foglia morta, come insegna il celebre Mariolino Corso della Grande Inter. Il tutto suggellato da una promozione in SERIE A nella stagione 1971-1972 (l’ultima prima dell’era Zamparini) e da un matrimonio felice con la nostra terra, in tutti i sensi. Vanello avrà Bologna nel destino: partecipa a quella maledetta finale di COPPA ITALIA e proprio con i felsinei chiuderà la carriera. Lascia l’isola che non voleva per realizzare il sogno che da ragazzo aveva: esercitare la professione che ne fece un dottore, dopo averla sperimentata in campo. Indubbiamente, la visione di gioco era di categoria superiore. James Matthew Barrie diceva: ‘C’è un’isola che non c’è per ogni bambino, e sono tutte differenti.’ Aveva proprio ragione.
Dario Romano
ILPALERMO.NET