
E con questa, ne abbiamo perso tre su tre. Il nostro triplete, ma nel senso negativo del termine. Stavolta, non ci siamo giunti da cadetta, alla finale della coppa che resta maledetta. L’avversario, non era proprio alla portata: l’Inter di Leonardo, subentrato al silurato Rafa Benítez, è ancora quella che con José Mourinho ha vinto tutto, tranne il titolo di campione del mondo. Aggiudicato in seguito, col tecnico poi epurato. Poche le nostre recriminazioni, considerando i precedenti con Bologna e Juve. A parte il controllo sbagliato del Flaco e la scelta infelice di Delio Rossi, che lascia perplessi. Javier Pastore contro i Nerazzurri ha pure sbagliato un rigore, in quel campionato dove un posto in CHAMPIONS l’avremmo meritato. Insomma, la Beneamata non gli porta granché bene. Il mio malcontento, parte dalle formazioni che fanno il loro ingresso in campo. Perché non lo vedo, il Romário del Salento: Fabrizio Miccoli, scalderà la panca. Motivatissimo già alla vigilia, quando dichiara in conferenza stampa che vorrebbe vincere un trofeo con il Palermo. Mi dispiace per il nostro Mister più amato, ma questa non gliel’ho proprio perdonata. Ci trafiggerà il solito Eto’o, con due infilate che son ripartenze tramutate in sentenze. Il gol di Muñoz ci rimette in partita per quattro miseri minuti, prima che salga in cattedra il Principe Milito. A questo punto, non mi resta che accontentarmi della platea. Uno spettacolo che non si era mai visto: una vera e propria invasione della capitale. Caterina ‘the voice’ Bruno a suonare la carica, le nostre legioni assiepate in un Olimpico fremente come fosse il Colosseo. Poi, ecco i gladiatori. E parte la mattanza. Mi resta il ricordo di quel colore che, quella sera, l’ha fatta da padrone. La combinazione cromatica che ha caratterizzato tutta la mia vita. Tanto rosa, con un po’ di nero.
Dario Romano
ILPALERMO.NET