
Sveglia, colazione: non mangio a casa, ma la pasta al forno di Mamma è tentazione. Mi ci immergo: ma è tutta la domenica, da immersione. Panelle, crocchè, meusa: per strada, il ritocchino si trova e ci vuole. Il parcheggio è un problema, ma poco importa. Anche lontano dallo stadio, la passeggiata dal rosa colorata è grande accoppiata. Bagarini no, grazie: faccio la coda, che gatta ci cova. Pochi controlli, niente tornelli e poi i gradoni, fino ai ‘servizi’: che poi ti scappa al momento giusto, che è sempre quello sbagliato. I primi cori, le narici avvolte da un odore penetrante che vuol dire Favorita, il Palermo, Gianni De Rosa. I fumogeni, il mio arrosto e poi la vista mozzafiato: un tappeto verde, circondato da un ovale assiepato. Un po’ spelacchiato il primo, un uovo pronto a prorompere il secondo. La mia bolgia, con la sua ombra soave: il Pellegrino è una benedizione di Santa Rosalia. Lo scenario più bello che ci sia ha pure gli effetti speciali: l’acustica, è da brividi. Datemi del pazzo, ma a volte ho cercato il posto più isolato per sentirla come si deve, la musica per le mie orecchie. Ghiaccioli e monete volanti, prima e durante la partita: spostati, siediti che non vedo nulla. Meglio così: seduti e composti ci si sta quando le vacche sono magre. Oltre al sapore, manca pure il piacere e a festeggiare da solo, che piacere c’è. Stanno entrando in campo, i miei idoli Rosanero. Vedo Gianni ed è cosa buona e giusta. Anche Totò, riconoscibilissimo con quel baffo da sparviero navigato, Massimo, che tirerà la sua bomba e Giampaolo, che ci racconterà le sue bugie. Farà il suo anche un discreto giocatore: di nome, fa Gian Piero. Di fatto, un giorno, signor allenatore. E poi ci siamo noi. Alcuni minuti di radiolina: perché hanno giocato al Totocalcio, oppure affetti da strisciavirus. Io no: per me esiste ‘solo il Palermo’. Ciotti e Ameri a divagare, ma soltanto i risultati dei cadetti, mi possono importare. Stadio e radio, radio e stadio. Con tanto di botto finale: quella rete che si gonfia, la mia ciliegina sulla torta. Torno a casa, contento o amareggiato. Dolce come il rosa, nero come l’amaro: nulla di più vero e sacrosanto. Inizia ‘Novantesimo minuto’: la fine del rito infinito. Ogni maledetta domenica.
Dario Romano
ILPALERMO.NET