
Calza bene l’affermazione del capitano, Francesco De Rose. Li chiama così, i suoi compagni: autori dell’ennesima prestazione da incorniciare. Il fiore all’occhiello in un finale di stagione semplicemente perfetto. ‘Tutto molto bello’, direbbe Bruno Pizzul: ne avrebbe ben donde. E dire che l’ammonizione a Dall’Oglio in avvio e la spinta in area su Brunori, ignorata dall’arbitro Perenzoni, mi ha riportato alla mente le streghe di Frosinone. Restando sul paranormale, quella serata è mutata in un fluido ectoplasmatico che, prima o poi, finirà col turbare i miei sonni. Forse da questa estate, che inizia nel migliore dei modi: la realizzazione di un sogno, figlio di una mentalità vincente inculcata da un allenatore che definire ‘il migliore’ sarebbe riduttivo. Silvio Baldini è il protagonista assoluto dell’agognato ritorno in cadetteria. Ha trasformato una squadra subissata da critiche feroci ed incapace di esprimersi anche a livelli accettabili. Ma dalla vittoria di Avellino in poi, nel Palermo è cambiato tutto. Come a tutti, è rivolto il dovuto ringraziamento: al Presidente Dario Mirri ed ai suoi uomini fidati, che hanno costruito la squadra sulla fiducia accordata. E ovviamente loro, i protagonisti in campo. Undici eroi e passa che non hanno mollato di un centimetro, attaccando a più non posso, anche quando difendere sarebbe stato più sensato. Su tutti, un plauso particolare allo sposo novello: Matteo Brunori, un attaccante di categoria superiore, che si è sentito in dovere di portarci a suon di reti dove ci compete. Il minimo indispensabile, per una piazza come Palermo. Che è tornata a farci l’amore, con la squadra del cuore. Notti magiche che non dimenticheremo mai. Dai, centotrentamila in pochi giorni: una roba mai vista. Mi auguro che si tratti davvero di un nuovo inizio e non mi riferisco alle vicende societarie. Chi ha partecipato in massa alla corsa per accaparrarsi un biglietto prezioso, avrà realizzato che vivere un match allo stadio è un’esperienza che val la pena di essere vissuta. Se il City Group giocherà bene le sue carte, lo sceicco non si pentirà della scelta. La speranza, è questa: che ci sia un progetto serio. Qualche vittoria e la scoperta di nuovi campioni non basta. Come non basteranno le sirene del mercato, ad ogni giocata del nuovo talento apparso in campo: è questo, che ci ha stancato, ai tempi del patron che tutto ha divorato. Pace all’anima sua: tutto sommato, il friulano voleva bene a Palermo ed al Palermo. Forse, da lassù, ci avrà anche dato una mano. Ma io penso a loro: allo zoccolo duro. Che ha vissuto dall’inizio alla fine l’era Zamparini e la buona riuscita dell’operazione Hera Hora, come le ultime generazioni. Ma, alle spalle, ne ha viste così tante che definirli immortali non risulterebbe affatto fuori luogo. Il rosa ed il nero: dagli anni ’80, una successione di eventi da lasciare cicatrici indelebili. C’erano loro, c’ero anch’io, alla Favorita non intitolata ancora a Renzo Barbera. Quel secondo anello sembrava poterci far volare, come il rapace che ci rappresenta meriterebbe. Poi, l’incubo del baratro che non vuol dire retrocessione: ci potrebbe anche stare. Ma radiazione. Un’altra di quelle parole che odierò per sempre: come Frosinone. Eppure, abbiamo scoperto che anche il gradino più inferiore può regalare soddisfazione: il Palermo della rinascita è sangue fresco che affiora nelle vene. Il Mondiale ci restituisce un impianto più capiente, dall’aspetto imponente. Troppo grande certe volte, troppo piccolo per le occasioni speciali. Quando ci rendono visita le strisciate e altre blasonate, per una serata di gala o per qualche scoppola in coppa, come questa contro i Viola. Troppi anni senza il calcio che conta, hanno spostato le attenzioni verso gli squadroni: una spiegazione che non mi ha mai sfiorato. Per me, per i vecchi cuori Rosanero, esiste solo il Palermo: non scherziamo. Quello dei picciotti è orgoglio: quanti pianti di gioia in curva. Ignazio Arcoleo e Speedy Vasari mi hanno fatto toccare il cielo con un dito, fino a precipitare come un Icaro squagliato al sole. Il piatto piange: ci ha pensato Franco Sensi, a far tornare i conti. Fino all’avvento del nuovo millennio. Dove abbiamo visto cose che il tifoso del Palermo non avrebbe mai potuto immaginare. Nel bene ed anche nel male. L’ingresso in Europa e l’invasione di Roma non son bastate: finisce tutto in brace. Un fallimento sportivo, oltre che societario: una sfilza infinita di timonieri, la maggior parte allo sbaraglio. Fino al nubifragio, dopo che si è venduto tutto. Un tesoro perduto, senza aver vinto nulla e con diverse rose che ci hanno invidiato in tutta Italia. Espugnata ed impaurita da un Palermo tremendo, soprattutto quello di Francesco da Castelfranco. E poi divorato da una conduzione scellerata. L’ennesima favola senza lieto fine: un buco nero che tutto quel rosa inghiotte. Le parole dette da Delio Rossi, mi vengono in mente: come aveva ragione. ‘Passano i tecnici, passano i presidenti, ma il Palermo resterà sempre’. L’Aquila come la Fenice, caro Delio: che risorge dalle sue ceneri. Con il suo esercito di immortali. Ed una schiera di eroi: lasciata a briglie sciolte dal suo condottiero. L’uomo di marmo, quello buono. Da Massa Carrara, il buon Silvio. Il nostro Mourinho. Meriterebbe una statua, immortalato mentre arringa la folla. Alla vigilia dell’atto finale, a scacciare i tanti, troppi gufi: quel rumore dei nemici che abbiamo cancellato col boato di un Barbera sontuoso e corretto. Per intenderci, senza scagliare palloni in campo. ‘A me interessa il percorso’: era quello giusto. Di tutto il resto, non ce ne frega un cazzo.
Dario Romano
ILPALERMO.NET