THE NORMAL ONE

CLAUDIO RANIERI

Con tutto il rispetto per il crucco, sia ben chiaro: Jürgen Klopp ci si definisce e in un libro così intitolato finisce. Per me, invece, la definizione si addice ad un altro Signore. Nella foto, un giovanotto cui il rosa sta tanto bene. Anche il giallorosso, gli ha sempre donato: sicuramente, la combinazione che senz’altro ha preferito. Le origini al Testaccio, il debutto con la Lupa, una carriera passata più che altro al Catanzaro. Otto anni in Calabria ne fanno il recordman di presenze nella massima serie con la Regina del Sud. Poi la Sicilia, fino alla punta: dello Stivale. Da Catania a Palermo: un bel salto, nel buio che più buio non si può. La parabola pedatoria di Claudio Ranieri si chiude con un termine che il tifoso Rosanero della mia generazione odierà per sempre: radiazione. Una punizione esemplare: per pochi, non per tutti. Nel calcio, come nella vita, son in tanti a farla franca. Io ricordo un difensore pulito negli interventi, che dei trucchetti del mestiere avrà fatto tesoro come tanti altri: se dello sporco c’è stato, non lo abbiamo visto. Anche questo è un merito: senza l’occhio indiscreto di una telecamera di troppo, il proibito non era semplicemente dietro l’angolo, ma dappertutto. Mi fido delle dichiarazioni di chi ha appeso le scarpette al chiodo da un bel pezzo: come il nostro, che dal momento fatidico indossa la tuta e comincia la scalata. Dopo la discesa, risale per il Belpaese nelle nuove vesti: parte da Lamezia Terme, la nuova avventura. Prosegue con la Campania Puteolana, una denominazione che rimanda al calcio che c’era una volta, fino all’approdo in Sardegna: questa, me la segno. Una promozione a discapito proprio del Palermo. Se tratteggiamo con i puntini il suo percorso iniziale da allenatore, ne esce un viaggio straordinario per un bel pezzo di Mediterraneo: ma Claudio non è Ulisse. Non va in guerra, non ha una Penelope ad aspettarlo e neanche la sua Itaca. Per la corona, è ancora presto. Non ha ancora smesso e son passati trentacinque anni: tranquilli, non ve li racconto mica tutti. Ma un po’ di pazienza: perché solo una sbirciata, sarebbe poca cosa. Saprebbe di affronto. L’approfondimento, invece, chiama a gran voce: nel momento che non è altro. Come una svolta: si chiama Valencia. Una sorta di pioniere: l’avvento di un italiano su una panchina straniera e per giunta spagnola. Ranieri aveva fatto molto bene alla Fiorentina: la riporta in massima serie e fa doppietta con coppa e supercoppa. Un segnale che viene ben accolto altrove: in Iberia, la conferma. La spunta in una finale senza storia: un tre a zero netto, che abbatte l’Atlético Madrid di Radomir Antić. Uno squadrone, Els Che. Che non vince altro per l’altissimo livello raggiunto da altre incomode: una su tutte, il Superdépor del decennio d’oro. Oltre, ovviamente, alle due solite note. Quella stonata, è l’etichetta: che arriva in fretta. Chi arriva dopo di lui, fa meglio: ed ecco il perdente di lusso. Indigesto, quando altri han goduto della sua tavola ben apparecchiata. La torta, arriva quando lui è già andato. Non è poco ed è ingiusto: sarà il tempo, a mettere le cose a posto. Ranieri non finirà come ‘el hombre vertical’: all’uomo tutto d’un pezzo cui non si abbina il trionfo. Héctor Cúper ha già perso una finale al cospetto della Lazio: al Mallorca, sfugge una coppa purtroppo cancellata dalla UEFA ed altrettanto mai dimenticata. Ma l’eterno secondo non è ancora nato: saranno Real e Bayern, a battezzarlo di brutto. In seguito, la Beneamata gli riserverà l’inevitabile scomunica. Claudio, al contrario, è ancora immacolato. Nonostante tutto, non si sente ancora quel dito puntato contro. Un giorno, anche dove ha fallito tornerà: per una ritoccata e fuga. Dopo l’annata disgraziata ai Colchoneros e quella voglia di cambiare aria che lo porta a Londra. Il Chelsea che gli tocca non ancora luccica: il lustro, ancora una volta, si materializza quando il Mister saluta. Sembrerebbe una maledizione: quando s’insedia lo Special OneRanieri torna a casa. In tutti Sensi: c’è pure la Roma di Rosella, dopo aver ceduto alla corte di Madama. Subentra a Luciano Spalletti e salta all’occhio qualcosa di diverso: il tecnico è meno introverso, più battagliero. Sbotta, rispondendo a tono in sala stampa ai torti arbitrali, alle critiche maliziose. Vanta una collezione di panche altisonante, ma il piatto piange comunque. In bianconero e giallorosso, il colpo grosso resta ad un posto: quel gradino più in alto. In basso, ti ci spinge una pressione insostenibile: l’occasione da sfruttare è l’aria più salubre di un ambiente a misura d’uomo che, soprattutto, trasuda un altro calcio. Il club del Principato è scivolato a mal partito e per un Ranieri, questo è troppo. Al capezzale, ne arriva un altro: quello giusto. Son le prove, a miracol mostrare. Il Monaco risale dalla seconda serie al primo colpo e non è finita: mette tutte in fila, tranne la parigina ulteriormente arricchita. Che è ancora più forte dell’anno precedente: impossibile, fare meglio. Almeno, han sentito il fiato monegasco sul collo. Parlavo di Ulisse, del viaggio straordinario narrato da Omero: figurati se poteva mancare, la Grecia. Ebbene, c’è pure una Nazionale, nel curriculum di un allenatore che si appresta, finalmente, a vincere. Non in un torneo qualunque, non con lo squadrone di turno e nemmeno contro avversari di chissà quale basso rango. È la dorata PREMIER LEAGUE, la squadra è un ‘normale’ Leicester City e le avversarie si chiamano Manchester United e CityTottenham ed Arsenal, staccato di ben dieci lunghezze. È stato un successo col botto: come se il destino avesse deciso di ripagare l’uomo, prima che lo sportivo, con tanto di interessi. Lui un po’ si sminuisce, attribuendo buona parte del trionfo a tutta una serie di fattori che nel football risultano spesso determinanti. L’ottima condizione fisica dei giocatori chiave, l’esplosione oltre ogni immaginazione degli stessi protagonisti, i risultati altalenanti delle avversarie, compresa la campione in carica: un Chelsea inguardabile. Ed il crederci anche quando i più scettici sembravano aver avuto ragione. Senza fare i conti col cuore, che ad un certo punto va oltre l’ostacolo. L’evento ci riporta ad un viaggio a ritroso nel tempo: il Verona di Osvaldo Bagnoli, la Samp di Vujadin Boškov. Quelle favole a lieto fine che sono anche il sale, del calcio. L’oltre, di un Davide che batte Golia: questo capita una volta ogni tanto, mica in un torneo così lungo. Il viaggio del romano, invece, continua. In Italia, in Francia, ancora in terra d’Albione. Alla ricerca di qualcosa che non deve essere, per forza, la vittoria. Quella più bella, il Mister l’ha vissuta sulla propria pelle. L’uomo, che di speciale ha proprio il suo essere normale, la riceve a gran voce. Perché non è una coppa, non ha le grandi orecchie. È un applauso spontaneo: all’Olimpico, quando il suo volto appare sul grande schermo. Parte la standing ovation e non può esserci niente di più bello, nel vederlo commosso. C’è proprio il Leicester, in campo, contro la Roma di Mourinho. Nell’immaginario di un collettivo che affolla la testa del portoghese, il buon Ranieri ha fatto parte della lunga schiera dei nemici: poca roba, qualche battuta. Il rumore è un’altra cosa. Idem il boato scaturito da un’impresa miracolosa. In Inghilterra, c’è un nuovo Re: che non sarà speciale, ma neanche un pirla. Altro che perdente. Da quella maglia a tinte Rosanero in poi, Claudio ne ha viste di tutti i colori. Daje e ridaje, ha sfornato l’ennesima favola che ci lega ad un mondo per eterni bambini. Ma questa è diversa dalle altre: è storia. E non è ancora finita.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

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