L’ALIENO

Si narra che durante un Fiorentina-Pistoiese disputato al Franchi di Firenze, si sia andato ben oltre il più dei terrestri o terra terra del classico clamoroso al Cibali. Era il 27/10/1954 e la gara, da amichevole, divenne incredibile. Stiamo parlando di un incontro ravvicinato, testimoniato da chi stava sugli spalti e dai giocatori stessi. Non è uno scherzo: quel giorno, dei velivoli non proprio convenzionali furono avvistati in diverse regioni del Belpaese, da nord a sud. Il fenomeno fu accompagnato da un altro particolare, già noto agli esperti di ufologia. Il rinvenimento, nelle zone interessate, di una sorta di capelli d’angelo, quasi una ragnatela, al suolo. Realtà o abbaglio, resta un dato di fatto: al comunale di Firenze hanno visto gli UFO.

Cinquantadue anni e l’evento si ripete, ma con due giorni di ritardo. Siamo al ventinove dello stesso mese, lo scenario è lo stesso ma in calendario c’è un match di SERIE A e l’avversario è il Palermo di Guidolin, primo in classifica a sorpresa, ma non più di tanto. Stiamo parlando di uno squadrone, che ci ha fatto sognare più del lecito, ma non a torto. Riguardo l’avvistamento, segnaliamo la variante: si passa dal secondo al terzo tipo. Infatti, da presunti mezzi di locomozione volanti extraterrestri, stavolta allo stadio fiorentino si materializza l’alieno vero e proprio. Che poi il suddetto sia di bell’aspetto, con carnagione olivastra, capelli al vento, brasiliano e con tanto di nome e cognome, poco importa. Agli occhi dei trentamila spettatori abbondanti presenti e dei tifosi costretti a casa e quindi davanti alla TV adoranti, Amauri Carvalho de Oliveira, alias easy Amauri e basta, è un alieno buono per noi, brutto per gli altri e cattivo quando occorre. Stava volando, il Palermo targato Zamparini e Guidolin, tornato alla base dopo averci riportato in alto, nel calcio che conta. Stavolta davvero in vetta, quella che fa venire i brividi. Come una trasferta Fiorentina, nemica come e più di prima. Fa paura, la squadra di Prandelli, ancorata in bassissima classifica causa la penalizzazione, a meno diciannove, dovuta ai fatti di Calciopoli. La Juve è in cadetteria, i Rosanero da mammamia: sembra l’anno giusto per il gran botto. Ma l’esame è arduo, da autentica prova del nove. Niente male anche la sfida col lungagnone, ormai ribattezzato ‘Toni e furmini’. Ma a dare il via alle danze, ci pensa il centravanti del Samba, che salta di forza i birilli Viola e crossa con delicatezza, per quel rapace che di nome fa David e di cognome Di Michele. Un’arma letale, soprattutto per i copioni recitati fuori dal Barbera. Dove il piccoletto fa Golia e ci porta spesso in vantaggio, anche se siamo sotto arrembaggio. Non esulto più di tanto: non siamo al Bernabéu, ma anche all’Artemio 82 minuti più recupero sono lunghi da passare. Si tiene comunque botta, con nonno sempre all’erta. A spaventarmi, quell’Adrian Mutu che a quei tempi, mi perdoni, ho proprio odiato. Beh, ci ha comunque messo e ci metterà ancora del suo. Ma lo schiaffo arriva da Pasqual, un altro che al cospetto dei Rosanero sembrava vedesse rosso davvero e sapeva far male, giocando da nazionale. Il dolore è acuto, ma anche dal sapore amaro, perché la sua castagna non inganna il guardiaporta, ma carambola sul neo campione iridato e dispiaciuto. Scusa, Alberto. Fa niente, Andrea. E si ricomincia, con un piede dello stesso portierone a miracol mostrare ed un palo a farmi ammattire. Non mi dovrei crucciare: l’alieno sta facendo le prove. Come il rumeno, che su punizione esalta le doti ed i reni di un Fontana in forma strepitosa, aiutato dalla traversa. Tu chiamale, se vuoi, emozioni. Per me, anni di vita. Persi o guadagnati, a seconda dei casi. Se Frey interviene in extremis su Amauri o se nulla può, quando il numero 11 vola in cielo e tramuta in goal il cross di Zaccardo, l’altro campione del mondo. Un gesto atletico e tecnico imperioso, che sovrasta il capitano Viola dalla nuca fasciata. Non ci pensare, Dainelli. Pensa a Burgnich con Pelé: anche O Rei sembrava un marziano. Non piangere, Sébastien. Farà male anche a Buffon. Parte il balletto, ma occhio al cronometro: dieci allo scadere, per sperimentare in pochi secondi la caduta all’inferno e l’ascesa al paradiso. Si comincia con lo zampino di quel diavolaccio, che la tocca in mischia dopo una serpentina di quel Montolivo mai così vivo e vegeto. Ci resto Muto. Prima dell’estasi. Prima dell’avvento extraterrestre. Un alieno non può essere un alieno e basta, senza fare giochi di prestigio. La platea potrebbe essere in un campetto di periferia o chi si affaccia alla finestra, guardando il figliolo giocare a pallone. Mamma, guarda quanto sono bravo. Ne ho due davanti, ma è come un gioco da ragazzi. Una finta di qua, una controfinta di là, e poi danzerò pure attorno alla bandierina, neanche fossi Juary. Ma sono Amauri, posso anche segnare. DainelliReginaldo, sbeffeggiati. Frey, infilzato. Beccatevi il diagonale. Per il tre a due finale. Tutti ad esultare. L’autore scompare, attorniato da maglie bianche dove spicca l’Aquila dorata, pronta a spiccare.

Questa è tra le partite del Palermo che non si possono dimenticare. Quella che ti ricordi dov’eri, con chi e cosa stavi facendo. Al Franchi, quel giorno, non hanno visto gli UFO, ma un alieno per davvero è sceso in campo. Quello di uno stadio, Mutu compreso, ammutolito. Tranne il tifoso Rosanero: che tocca il cielo, con un dito.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

LA COPPA SCIPPATA

Clamoroso al Cibali.
Il vantaggio, firmato Ignazio, dura soltanto un minuto.
Il giorno della Befana, a Catania, vale un punto. Ma non mi cruccio più di tanto.
VareseAscoliTernana, perfino il Como (che chiuderà al quarto posto e quindi non sarà promosso), hanno dimostrato un altro passo. Settimi in graduatoria finale e andiamo comunque a sognare. Perché FiorentinaJuve e Lazio hanno pagato dazio e siamo all’atto finale.
È la prima volta, è la prima disdetta, di una Coppa maledetta.
Ai posteri, per sempre ricordata, come la Coppa scippata.

Tre finali di COPPA ITALIA perse. Ma, nella memoria del tifoso Rosanero, la prima, quella del ’74, brucia di più.
A Roma, l’atto finale è il 23 di Maggio. Una data nefasta che impareremo ad odiare per sempre, al di là del calcio. Bologna-Palermo dovrebbe essere una gara a senso unico, con i Rosa provenienti dalla serie cadetta. Alla vigilia, sembrano le vittime sacrificali. Sarà così, ma non per inferiorità tecnica.
Intorno alla mezzora, Magistrelli porta in vantaggio il Palermo e lo fa con una rete da antologia. Il cross di Favalli è perfetto: lo stacco è veemenza, potenza, sentenza, l’essenza di questo sport. La sua testa sembra un piede che calcia al volo: se la vedrete, la rivedrete a più riprese.
Il Palermo di Renzo Barbera e Corrado Viciani è in maglia bianca e spicca ancora di più nel video d’epoca, mentre mette sotto il team di Bruno Pesaola e sfiora più volte il gol della sicurezza. Il libro del calcio racconta che spesso Davide abbatte Golia ed è proprio quello che sta per accadere. Fino a quando i riflettori del destino puntano sui tre protagonisti dell’atto finale.

Che, per i Siculi, da poesia si trasformerà in tragedia, poiché si volge al Nero.
Si comincia con le due icone dei rispettivi club, Giacomo Bulgarelli ed Ignazio Arcoleo: i Capitani e lo scontro fra Titani.
Spalle alla porta, il mammasantissima Rossoblu crolla al cospetto di colui che nel ’96 sarà il condottiero del Palermo dei Picciotti. Fino a quel momento, l’autentico trascinatore in campo. Ma Gnazio, Capitano di lungo Corso, sceglie il traghetto sbagliato.
Allarga le braccia, Giacomo cade ed entra in scena il nostro arbitro Moreno, il famigerato sig. Gonella, recentemente scomparso e reo confesso. Rigore molto dubbio, trasformato da Savoldi, il futuro Mister Miliardo.
I supplementari si disputano a porta romana e non solo perché il teatro è l’Olimpico di Roma. Una sola metà campo, quella del Bologna.
La sequenza dal dischetto è decisa dagli errori di Vullo e Favalli. Chi ha sbagliato per davvero, portava il fischietto: in bocca.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

LONDON CALLING

Una telefonata da Oltremanica. Un tuffo al cuore. Che ha fatto il Palermo? Ha vinto, rete dell’Airone. Sì, possiamo volare. Ma ad Upton Park, bisognava esserci. Perché questa è storia. Farne parte, è tutt’altra cosa. WESTHAMINCHA, tra gli spalti bardati Rosanero. Non un’invasione vera e propria. Non è l’Olimpico, non siamo a Roma. Ma Londra chiama e ci si arriva da tutta Italia. Altri, direttamente d’Albione: ci pulluliamo e ci moltiplichiamo. Siamo dappertutto.

Il teatro è d’eccezione, il manto erboso eccezionale: lo spettacolo, può cominciare. Guidolin passeggia nervoso, nei pressi dell’area tecnica. Poi si accovaccia da par suo, come pronto a scattare. Dovrà immergersi fino in fondo, ma tutto d’un fiato. Non sa ancora che andrà liscia, come l’olio. Io intanto godo: vedere il mio club giocare come fosse in PREMIER LEAGUE, è soddisfazione. Lo stadio è da sogno, per gli inglesi vetusto: non esiste più. Non siamo soltanto indietro, ci distanziano anni luce. Lo chiamavano Boleyn Ground, poiché nel Castle munito di due torrette a fianco, ha soggiornato la povera Anna Bolena. Pure le formazioni, trasmettono brividi. Abbiamo avuto rose migliori, mentre tutti questi nomi, da highlights oltre frontiera, preludono alla malafiura. Alan Pardew, Manager dei locali, sembra Leslie Nielsen di Una Pallottola Spuntata ma fa sul serio: in avanti ha un nuovo asso a disposizione e lo rischia immediately. Getta nella mischia le novità Mascherano e Tévez: ordine e scompiglio. Insomma, gli Hammers fanno spavento. Lo style è British e ci hanno aggiunto il tango. Intanto, noi cominciamo a ballare, anche perché ci si deve riscaldare.

Il match parte a spron battuto, ma l’inizio è già perduto. Difficile staccare gli occhi da quell’atmosfera, dal vivo ancora più vera dei racconti del tubo catodico. Il terreno di gioco ti cattura: verde che più verde non si può. Beati loro: se da qui è il top, dal campo dev’essere uno spasso. Ma bisogna correre, pressare, ripartire, triangolare, tirare in porta: tranquilli, il Palermo si è calato e recita la sua parte. Mancano Corini e Amauri, due elementi che non si possono regalare, soprattutto in campo internazionale. Eppure, non si nota più di tanto, ma il rammarico resta alto. Il Genio sconta la squalifica per quel fallo di mano di Gelsenkirken che ha posto fine all’ottimo debutto nella precedente competizione, mentre il brasiliano ha già giocato in CHAMPIONS con la maglia del Chievo e non è arruolabile. Il plotone Rosanero è comunque un battaglione e non perde colpi. Quello del KO, lo assesta Caracciolo, imbeccato alla perfezione da Diana, messo in moto a sua volta da un recupero di Simplício. Lo scambio con Cassani, in sovrapposizione sulla destra, è uno schema da urlo, pronto a prorompere. Sull’altro fronte, si rischia soprattutto sulle iniziative dell’Apache. Ci prova prima e dopo la rete degli ospiti. Fa meglio Harewood, che timbra il palo dopo averlo rilevato. Troppo tardi: l’Airone, ha già preso il suo scalpo. Un tocco morbido, ad uccellare il malcapitato Carroll. Un’azione da flipper, con una pallina che ci farà impazzire. Per noi, dolce come una Cassatina. Per lui, dolorosa come l’artigliata di un vero rapace d’area: il suo territorio di caccia.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

INDISSOLUBILE

TONINO DE BELLIS

Un legame stretto, di quelli che non si sciolgono. Nativo di Taranto, ma palermitano d’adozione, Tonino De Bellis rappresenta la colonna, la roccia dei Rosanero.

IL MONUMENTO (vi rimando all’articolo a lui già dedicato e così intitolato) arriva nel 1957 e fino al 1961 disputa ben 133 gare.
Difensore arcigno, ottimo in marcatura, porta ancora sulle gambe i segni delle botte, date e ricevute. Dopo tre anni al Venezia, torna al Palermo nel ’64, per altri 124 incontri di campionato: contiamo 257 apparizioni in totale. Una sola rete a referto, ma in COPPA ITALIA. Era difficile vederlo in avanti, all’avventura. La sua giungla, dal cerchio di centrocampo in giù.

Anche come allenatore, ha diviso il suo legame con la società, in due spezzoni. Il primo nel 1975-1976, subentrando a Benigno De Grandi. Si dimetterà al termine del campionato, ma sarà ancora in sella per quello seguente. Il secondo nel 1995-1996, l’anno del Palermo dei picciotti, quando affiancò Ignazio Arcoleo, sprovvisto di patentino. E Tonino, da Palermo, non è più andato via.

Buon Compleanno, Roccia.

Dario Romano
ILPALERMO.NET