IL GENIO

EUGENIO CORINI

Il capitano nei pressi della bandierina del corner. È gialla, ma è come fosse bianca. Al triplice fischio, la vede come sventolare sul ponte di comando: è la resa. Rabbia e frustrazione prendono il sopravvento. Nessun colpo di Genio, stavolta. Prevale la passione Corini alza il pallone: lo calcia in alto, verso il firmamento. Ha perso, il Palermo. Lui non ci sta. Sa riconoscere la sconfitta, ma vorrebbe già una nuova disfida. Perché un vero capitano tiene la rotta e scansa la deriva. La disfatta come una risacca, ma è il preludio alla rivalsa. Ordine, dovere, disciplina e talento. Sono le stimmate del leader ed il giovane calciatore di Bagnolo Mella le ostenta precocemente. Alla Juve affina lo stile: quello DOC, non il contraffatto. Alla Samp, tale carisma è mal digerito, poiché il Mancio mette i paletti: comanda lui. E allora Eugenio pianta i suoi: si prende la penisola, da nord a sud. Templare e pirata, per terra e per mare. Fa del Chievo la sua Gerusalemme, per poi sbarcare alla Nassau del mediterraneo. Col Sacro Graal, Palermo è L’Avana e andiamo a saccheggiare. Quanti bottini, caro Corini. Vessillo nero al vento con l’Aquila che fa spavento. Terrorizza più di un teschio e la ciurma ha il rosa dentro. Onde, tempeste: poca cosa. Piuttosto, tanta roba a iosa. Crapa pelata, sulla spalla la bestia alata: finiranno bendate. L’isola non è più come prima: ‘qui è come Hiroshima!’. Ma non abbandoneranno mai la nave. Piuttosto, ci si affonda. I tesori? In laguna, sull’altra sponda. Va bene, mio capitano. Con te, il naufragar m’è dolce in questo mare. Eroe di due Italie. Sfrego la lampada, ed esce ancora, il mio Genio. Rimasto incastonato, nella memoria. Come un diamante, gemma rara. Infinitamente, è per sempre. Non è una rispolverata, neanche una minestra riscaldata. Io ci credo. Non altrettanto alle parole di Silvio: non mi ha convinto. Finisce qui il percorso dell’uomo di marmo. Gli dobbiamo molto, tanto. Non mi pronuncio: a caldo, la ferita fa più male del dovuto e le parole, a questo punto, contano poco. I fatti, ci dicono che Eugenio Corini sarà il nuovo allenatore del Palermo. Stavolta, la bomba atomica, non lo disturberà più di tanto: è scoppiata ieri.

Dario Romano
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LA STORIA SIAMO NOI

IGNAZIO MAJO PAGANO

Non è un vero e proprio allenamento. Siamo agli albori del football: giunto un po’ in ritardo, nello Stivale. Mentre al Nord si assegna già il titolo nazionale, nel meridione si inizia con lo scoprire, lo sperimentare. Il tempo per rimediare, non manca. Ignazio Majo Pagano, in tenuta da caccia ed in bianco candido in mezzo al campo di via Notarbartolo, è intento nel rudimento. Ha portato i palloni da Albione, mentre le maglie sono invece un insieme di bianco, rosso e blu. Ne scaturirà il primo completo che con i colori del Portsmouth FC non aveva nulla a che vedere. Ebbene, tenetevi forte, se ancora non lo sapete: i Pompey indossavano, guarda caso, una casacca rosa salmonato, ispirata ai colori dei tram in uso nella città portuale. Il resto, è storia. I primi calci nel terreno concesso dai Whitaker, la scelta azzeccata di una combinazione cromatica inconfondibile, le sfide della LIPTON CUP, assegnata definitivamente ai Rosanero dopo il disastro tremendo che colpì lo stretto. Poi il debutto, in una massima serie che si era data un nome: SERIE A. A lungo, un’ossessione: a tratti, lo zenit della nostra passione. Il trofeo del magnate del tè è stato fuso: un Sacro Graal che non figurerà mai nella sala coppe. A qualcuno verrà da ridere: non siamo mica il Milan, l’Inter o la Juve. Eppure, vi posso assicurare che il Palermo vanta una bella collezione. Cimeli accumulati in più di un secolo di storia: tra doni e scambi, tornei improvvisati e trionfi meno roboanti delle competizioni ufficiali. Io li ho visti: al Barbera, in una stanza che racchiude un tesoro che prima o poi rivedrà la luce. Per non parlare dei collezionisti, possessori dei pezzi più pregiati. Del resto, fate un po’ di conto: ad esempio, uno sportivo qualunque, anche un semplice dilettante. Che fatica a trovare spazio per i riconoscimenti vari ed eventuali: ne hanno accompagnato partecipazioni più o meno lusinghiere. Paragonate il tutto alla parabola di un sodalizio più che centenario ed il gioco è fatto. Pensate alla Pro Vercelli: in rete potrete ammirare qualcosa del genere. Le Bianche Casacche che figurano orgogliosamente nell’Albo d’oro del campionato italiano: la punta di diamante del celebre ‘Quadrilatero’ piemontese. Sette titoli, ma una sbirciata alla loro raccolta toglie il fiato: impressionante. Giù il cappello: per questo, quando il Palermo si appresta a scendere in campo, la prima sensazione che mi investe è il rispetto per l’avversario. Il blasone che porta, anche se vive tempi di vacche magre: ci siamo passati, li abbiamo vissuti ripetutamente. Partiti da quel terreno spelacchiato, con quei fiori di campo che lo rendevano macchiato e più ingiallito del dovuto. Nel mezzo, il nostro padre putativo. Da via Notarbartolo a Boccadifalco, il passo è un viaggio nel tempo lungo 122 anni. Tanta acqua, sotto i ponti. E tanta storia: quella, siamo anche noi.

Dario Romano
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PRENCE

HELGE BRONÉE

Vecchi tempi, ma gli echi li sentiamo ancora. Purtroppo, sono rimasti in pochi, tra coloro che hanno visto Helge Bronée giocare ed impazzare (e pure impazzire, anche fuori dal campo) nel Palermo. Ci racconterebbero di un autentico fuoriclasse, bizzoso e allo stesso tempo ardimentoso. Raimondo Lanza di Trabia se ne innamorò, come capiterà a tutti gli astanti della Favorita. Dalla fredda Danimarca alla calda Palermo, il passo può sembrare lungo ma è anche breve: come diceva Johan Cruijff‘i danesi hanno uno spiccato spirito di adattamento, inoltre imparano presto le lingue e ciò rende tutto più facile’. Parole sante, Olandese Volante. Galeotta fu la partita Nancy-Grenoble: tra il Principe e l’amletico ‘Prence’ è colpo di fulmine. Un viaggio di piacere del nobile in Francia, si trasforma in uno sfizio da togliere: d’altronde, la classe non è acqua per entrambi. Raimondo, non se ne pentirà. Ed il Palermo ‘rischia’ di far la voce grossa. Ma è un fuoco di paglia: il progetto della ‘Juve del Sud’ tramonta per la dipartita improvvisa di un uomo tormentato. Si rompe anche il suo giocattolo preferito, quella valvola di sfogo che, nel suo piccolo, ha fatto la storia del calcio: un uomo nudo, la vasca da bagno ed un modo nuovo di concepire il mercato. Non dico altro. Perché, a questo punto, gli aneddoti si sprecherebbero: fiato sprecato. Sul personaggio, ho già detto in passato. Su Bronée, invece, qualcosa da dire resta. Immaginate una sorta di Ibra nel mondo che c’era una volta. Quello spirito vincente che prende il sopravvento: contro tutto. A costo di rimetterci il posto. Helge le ha provate pure tutte: si è cimentato in ogni ruolo, tranne in porta. In campo dava il massimo, dimenticando un concetto semplice semplice: che il calcio, innanzitutto, è un gioco di squadra e che quelli come lui potevano fare la differenza, a patto di saper aspettare il momento giusto. Ma la pazienza, in quella capa bionda, non alberga: neanche quando gli capita l’occasione della vita. Prima la Lupa, poi la Vecchia Signora: qualche lampo, mai il colpo di fulmine che colpì il Principe. Essere o non essere: è questo il dubbio che il biondo non ha risolto. Un biscotto danese da gustare ogni tanto, oppure un ribelle irrequieto, dallo spirito indomito. Capace comunque di lasciare il segno. Perché, non dimentichiamo: Bronée la mette per ben 55 volte in massima serie. E allora concludiamo: c’è del buono, in Danimarca.

Dario Romano
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UN LOGO IN PIÙ

ETTORE BANCHERO

Quando il Palermo scende in campo per la stagione 1979-’80, indossa un completino che ha fatto storia: è griffato pouchain. Ma a spiccare è soprattutto quel loghetto, che ci ha fatto tutti innamorare. La testa d’Aquila che la testa ancora continua a far girare. Vintage, ma tremendamente moderna e per sempre attuale. L’autore di tale eccezione: Piero Gratton, il designer recentemente scomparso che si è dilettato da par suo lasciando il segno anche nel mondo del calcio. Non solo per il Palermo: il lupetto della Roma, il galletto della Bari ed altri piccoli capolavori. La novità, ben gradita, è durata poco: perché per rivedere un logo, sulla maglia Rosanero, abbiamo dovuto aspettare gli anni ’90. Per tornare al precedente, bisogna fare un bel salto: indietro, di mezzo secolo.

Ettore Banchero arriva dall’Alessandria e contribuisce alla storica promozione: l’attaccante realizza diciotto reti e per la prima volta si sale in SERIE A. Siamo ai primi seri vagiti del nostro calcio e, nel torneo nazionale per eccellenza, stagione 1932-1933, ci siamo anche noi. L’ITALIA si appresta a vincere il suo primo campionato del mondo: seguirà il secondo, prima che il mondo non sarà più lo stesso. Mentre nella massima serie, il Palermo, dimostra di poterci stare: arriva un dodicesimo posto, in condominio con la Pro Vercelli, a distanza di sicurezza dalla zona retrocessione. Ma c’è anche un’altra lieta novella: un rapace che fa sfoggia. L’Aquila domina la maglia, possente e imperiale, come epoca comanda. Non è un crest ufficiale, ma lo stemma comunale. Comunque da annoverare. Pur sempre un logo, comparso per un’occasione speciale. Dimenticato, andrebbe rivalutato. Perché è anche da qui che abbiamo imparato: a volare.

Dario Romano
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L’EVOLUZIONE

Undici loghi, per sempre. Dal 1920 ad oggi, tanta acqua sotto i ponti. Refusi compresi, a partire proprio dalla prima realizzazione. Voluta dal Presidente Valentino Colombo, che omaggia il Racing F.B.C. riportandone i colori. Si riparte dopo la Grande Guerra, in tutti i campi: per il calcio, non poteva essere altrimenti. Lo stesso per il Palermo, che rinasce grazie al cambio di denominazione del piccolo club cittadino. Colombo, sotto il logo, fa riportare la dicitura ‘Costituito nel 1898’. La scritta persiste nella versione seguente, che almeno è a tinte Rosanero. Ma, come sappiamo, lo statuto parla chiaro: il sodalizio viene fondato il primo giorno di Novembre nell’anno del Signore 1900. Rendiamo grazie, soprattutto nel 1907: per la prima volta, ci si sposa con la combinazione cromatica che ameremo per tutta la vita. Nella gioia e nel dolore. La pietra sopra, l’abbiamo messa da un bel pezzo su un abbaglio: il rossoblù delle origini, non ha nulla a che vedere con i colori del Portsmouth FC. Da Albione, Ignazio Majo Pagano porta un’idea e la mette in pratica: ma non ruba nulla. Forse, perché il rosa salmonato del Pompey non può essere mica un caso. Il grande passo, è merito di Giuseppe Rizzo: un viaggio nel futuro. Quel rombo attira l’occhio: il pallone, fa il resto. Il risultato è fuori dal tempo: siamo appena nel 1929. Una precisazione è necessaria per la realizzazione successiva: quando il Palermo, sospinto dalle reti del lungagnone Carlo Radice, raggiunge la massima serie. L’aquila che fa bella mostra sulla maglietta, non è questa che vediamo protesa in volo. Nel ’32, compare un rapace di stile imperiale ispirato all’emblema comunale. Il logo ufficiale, il quarto parto della serie, è meno maestoso. Secondo altre fonti, pure postumo: riconducibile a Francesco Paolo Barresi, risalirebbe al 1937. Il periodo bellico è un bel guazzabuglio anche per il Palermo, che rinasce dalle sue ceneri come altri gloriosi club di un continente messo a ferro e fuoco. Era cambiato tutto, con il fascismo: che impone nomi e colori. Un pugno in un occhio, quel giallorosso. Di buon auspicio, il ritorno dell’aquila, resa reale dal barone Stefano La Motta, il neo presidente che fa le cose in grande. Impossibile non notare il particolare: S.P.Q.P. che sta per Senatus Populus Que Panormitanus. Giù il cappello, per lo stemma più longevo del gruppo: dal 1947 al 1979. Poi, è standing ovation. Si chiude l’era del ‘Presidentissimo’ Renzo Barbera e si entra nell’età moderna pallonara. Soprattutto, si comincia a far davvero l’amore con il calcio e non soltanto per il successo inaspettato nel Mundial spagnolo. In Italia, la riapertura delle frontiere fa nascere il campionato più bello del Mondo, mentre a Palermo è la fine: di tutto. Sarà che il vero tifoso è più di un vero amico: si vede nel momento del bisogno. Palermo ascensore e, nonostante un plotone d’eccezione, non sale mai al primo piano, ma scende spesso fino al terzo. Nel baratro che l’attende, la famigerata radiazione, resta una fioca luce. Il barlume è opera di un designer che fa centro: Piero Gratton ci regala un logo che definire un semplice capolavoro risulterebbe riduttivo. Ed il plauso, proviene da ogni dove: il lupetto della Roma, il galletto per la Bari, il delfino del Pescara e non solo. Fino alla testa d’aquila rivolta a destra che fa sfoggia nel completino azzeccato della Pouchain. Un logo vintage, ma tremendamente moderno. La rinascita è simboleggiata da uno scudo: la testa del rapace volge lo sguardo orgoglioso a sinistra, stavolta. Il taglio col passato, è netto. Le ali spiegate del marchio che caratterizza la società passata a Giovanni Ferrara e Liborio Polizzi, riportano più che altro all’artistico. Il risultato è discutibile, come i tempi che corrono. Le vacche magre, tuttavia, ci regalano un sogno: quando si ritorna al passato, con il simbolo comunale a farla da padrone. Ad imperversare, anche il ‘Palermo dei picciotti’. Il logo è quello che meno amo, ma al cuore non si comanda. Poi, è rivoluzione: in tutti i Sensi, compreso Franco. Si apre l’era targata Zamparini ed il Palermo entra nel nuovo millennio quatto quatto e poi col botto: un decennio così non l’avevamo mai visto, accompagnato da quel brand uscito dallo studio di Ferruccio. Il buon Barbera realizza un’aquila dorata così bella che potrebbe volare anche da sola. Per il Daily Mail, c’è da rifarsi gli occhi. Purtroppo, sappiamo tutti com’è andata a finire: dall’Europa alla terza finale di coppa, fino allo smantellamento coatto ed al fallimento. Hera Hora si presenta con un crest discutibile. Di primo acchito, fa storcere il naso: a molti, ma non a tutti. Compreso il sottoscritto, che sembra averlo già visto da qualche parte. La somiglianza con il simbolo dell’Istituto LUCE istituito dal Duce, è disarmante. Nulla di sospetto, per carità: ma nonostante la direzione opposta della testa d’aquila, la foggia sembra la stessa. Sarà una coincidenza. Una possibilità, invece, riguarda il cambiamento epocale che ci apprestiamo a vivere. L’avvento del City Football Group potrebbe coinvolgere anche l’aspetto del logo che ha accompagnato le notti magiche e le gesta degli eroi di Silvio Baldini. L’opera di Danilo Di Muli, controversa anche per altri aspetti, potrebbe finire racchiusa in un cerchio. Per il colosso dello sceicco, una sorta di marchio a fuoco. Ad incendiare le nostre aspettative: oro, incenso e Mirri. Ho accompagnato il viaggio nel tempo con le varie denominazioni del sodalizio: un intervento forse invasivo, ma doveroso. Spero risulti altrettanto esaustivo. L’evoluzione è anche storia e l’universo non ha mai smesso: di essere creativo.

Dario Romano
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THE NORMAL ONE

CLAUDIO RANIERI

Con tutto il rispetto per il crucco, sia ben chiaro: Jürgen Klopp ci si definisce e in un libro così intitolato finisce. Per me, invece, la definizione si addice ad un altro Signore. Nella foto, un giovanotto cui il rosa sta tanto bene. Anche il giallorosso, gli ha sempre donato: sicuramente, la combinazione che senz’altro ha preferito. Le origini al Testaccio, il debutto con la Lupa, una carriera passata più che altro al Catanzaro. Otto anni in Calabria ne fanno il recordman di presenze nella massima serie con la Regina del Sud. Poi la Sicilia, fino alla punta: dello Stivale. Da Catania a Palermo: un bel salto, nel buio che più buio non si può. La parabola pedatoria di Claudio Ranieri si chiude con un termine che il tifoso Rosanero della mia generazione odierà per sempre: radiazione. Una punizione esemplare: per pochi, non per tutti. Nel calcio, come nella vita, son in tanti a farla franca. Io ricordo un difensore pulito negli interventi, che dei trucchetti del mestiere avrà fatto tesoro come tanti altri: se dello sporco c’è stato, non lo abbiamo visto. Anche questo è un merito: senza l’occhio indiscreto di una telecamera di troppo, il proibito non era semplicemente dietro l’angolo, ma dappertutto. Mi fido delle dichiarazioni di chi ha appeso le scarpette al chiodo da un bel pezzo: come il nostro, che dal momento fatidico indossa la tuta e comincia la scalata. Dopo la discesa, risale per il Belpaese nelle nuove vesti: parte da Lamezia Terme, la nuova avventura. Prosegue con la Campania Puteolana, una denominazione che rimanda al calcio che c’era una volta, fino all’approdo in Sardegna: questa, me la segno. Una promozione a discapito proprio del Palermo. Se tratteggiamo con i puntini il suo percorso iniziale da allenatore, ne esce un viaggio straordinario per un bel pezzo di Mediterraneo: ma Claudio non è Ulisse. Non va in guerra, non ha una Penelope ad aspettarlo e neanche la sua Itaca. Per la corona, è ancora presto. Non ha ancora smesso e son passati trentacinque anni: tranquilli, non ve li racconto mica tutti. Ma un po’ di pazienza: perché solo una sbirciata, sarebbe poca cosa. Saprebbe di affronto. L’approfondimento, invece, chiama a gran voce: nel momento che non è altro. Come una svolta: si chiama Valencia. Una sorta di pioniere: l’avvento di un italiano su una panchina straniera e per giunta spagnola. Ranieri aveva fatto molto bene alla Fiorentina: la riporta in massima serie e fa doppietta con coppa e supercoppa. Un segnale che viene ben accolto altrove: in Iberia, la conferma. La spunta in una finale senza storia: un tre a zero netto, che abbatte l’Atlético Madrid di Radomir Antić. Uno squadrone, Els Che. Che non vince altro per l’altissimo livello raggiunto da altre incomode: una su tutte, il Superdépor del decennio d’oro. Oltre, ovviamente, alle due solite note. Quella stonata, è l’etichetta: che arriva in fretta. Chi arriva dopo di lui, fa meglio: ed ecco il perdente di lusso. Indigesto, quando altri han goduto della sua tavola ben apparecchiata. La torta, arriva quando lui è già andato. Non è poco ed è ingiusto: sarà il tempo, a mettere le cose a posto. Ranieri non finirà come ‘el hombre vertical’: all’uomo tutto d’un pezzo cui non si abbina il trionfo. Héctor Cúper ha già perso una finale al cospetto della Lazio: al Mallorca, sfugge una coppa purtroppo cancellata dalla UEFA ed altrettanto mai dimenticata. Ma l’eterno secondo non è ancora nato: saranno Real e Bayern, a battezzarlo di brutto. In seguito, la Beneamata gli riserverà l’inevitabile scomunica. Claudio, al contrario, è ancora immacolato. Nonostante tutto, non si sente ancora quel dito puntato contro. Un giorno, anche dove ha fallito tornerà: per una ritoccata e fuga. Dopo l’annata disgraziata ai Colchoneros e quella voglia di cambiare aria che lo porta a Londra. Il Chelsea che gli tocca non ancora luccica: il lustro, ancora una volta, si materializza quando il Mister saluta. Sembrerebbe una maledizione: quando s’insedia lo Special OneRanieri torna a casa. In tutti Sensi: c’è pure la Roma di Rosella, dopo aver ceduto alla corte di Madama. Subentra a Luciano Spalletti e salta all’occhio qualcosa di diverso: il tecnico è meno introverso, più battagliero. Sbotta, rispondendo a tono in sala stampa ai torti arbitrali, alle critiche maliziose. Vanta una collezione di panche altisonante, ma il piatto piange comunque. In bianconero e giallorosso, il colpo grosso resta ad un posto: quel gradino più in alto. In basso, ti ci spinge una pressione insostenibile: l’occasione da sfruttare è l’aria più salubre di un ambiente a misura d’uomo che, soprattutto, trasuda un altro calcio. Il club del Principato è scivolato a mal partito e per un Ranieri, questo è troppo. Al capezzale, ne arriva un altro: quello giusto. Son le prove, a miracol mostrare. Il Monaco risale dalla seconda serie al primo colpo e non è finita: mette tutte in fila, tranne la parigina ulteriormente arricchita. Che è ancora più forte dell’anno precedente: impossibile, fare meglio. Almeno, han sentito il fiato monegasco sul collo. Parlavo di Ulisse, del viaggio straordinario narrato da Omero: figurati se poteva mancare, la Grecia. Ebbene, c’è pure una Nazionale, nel curriculum di un allenatore che si appresta, finalmente, a vincere. Non in un torneo qualunque, non con lo squadrone di turno e nemmeno contro avversari di chissà quale basso rango. È la dorata PREMIER LEAGUE, la squadra è un ‘normale’ Leicester City e le avversarie si chiamano Manchester United e CityTottenham ed Arsenal, staccato di ben dieci lunghezze. È stato un successo col botto: come se il destino avesse deciso di ripagare l’uomo, prima che lo sportivo, con tanto di interessi. Lui un po’ si sminuisce, attribuendo buona parte del trionfo a tutta una serie di fattori che nel football risultano spesso determinanti. L’ottima condizione fisica dei giocatori chiave, l’esplosione oltre ogni immaginazione degli stessi protagonisti, i risultati altalenanti delle avversarie, compresa la campione in carica: un Chelsea inguardabile. Ed il crederci anche quando i più scettici sembravano aver avuto ragione. Senza fare i conti col cuore, che ad un certo punto va oltre l’ostacolo. L’evento ci riporta ad un viaggio a ritroso nel tempo: il Verona di Osvaldo Bagnoli, la Samp di Vujadin Boškov. Quelle favole a lieto fine che sono anche il sale, del calcio. L’oltre, di un Davide che batte Golia: questo capita una volta ogni tanto, mica in un torneo così lungo. Il viaggio del romano, invece, continua. In Italia, in Francia, ancora in terra d’Albione. Alla ricerca di qualcosa che non deve essere, per forza, la vittoria. Quella più bella, il Mister l’ha vissuta sulla propria pelle. L’uomo, che di speciale ha proprio il suo essere normale, la riceve a gran voce. Perché non è una coppa, non ha le grandi orecchie. È un applauso spontaneo: all’Olimpico, quando il suo volto appare sul grande schermo. Parte la standing ovation e non può esserci niente di più bello, nel vederlo commosso. C’è proprio il Leicester, in campo, contro la Roma di Mourinho. Nell’immaginario di un collettivo che affolla la testa del portoghese, il buon Ranieri ha fatto parte della lunga schiera dei nemici: poca roba, qualche battuta. Il rumore è un’altra cosa. Idem il boato scaturito da un’impresa miracolosa. In Inghilterra, c’è un nuovo Re: che non sarà speciale, ma neanche un pirla. Altro che perdente. Da quella maglia a tinte Rosanero in poi, Claudio ne ha viste di tutti i colori. Daje e ridaje, ha sfornato l’ennesima favola che ci lega ad un mondo per eterni bambini. Ma questa è diversa dalle altre: è storia. E non è ancora finita.

Dario Romano
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DO UT DES

Una galassia lontana lontana. Prima, sempre più vicina. Ora, sbarcata in pompa magna nella Conca. Che non sarà d’Oro come una volta ma, a questo punto, poco importa. Il passato è passato e bisogna guardare al futuro. Senza telescopio: la forza sia con noi, con tutto il suo potere. La potremo toccare, dopo una sbirciata doverosa. La holding finanziaria del City Football Group, che fa capo allo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, ha acquisito il pacchetto di maggioranza del Palermo FC: manca l’ufficialità, ma tranquilli. Pulcinella, qui non alberga. Oro, incenso e Mirri: un plauso al buon Dario, il mio omonimo per eccellenza. Buon sangue, non mente: il nipote del Presidente che più issimo non si può, ha fatto centro. Ci ha riportato dal basso verso l’alto in un batter d’occhio, commettendo sì degli errori, ma vaglieli a rinfacciare. Un argomento da approfondire, a tempo debito. E detto, fatto: a Palermo, di arabi non ne abbiamo visto. Ma stanno arrivando, questo è certo. Gli incontri ravvicinati tra gli assiepati del Renzo Barbera ci hanno fatto fiutare l’aria del cambiamento: prima gli emissari, mentre il resto, avviene in campo. Con una missione compiuta alla faccia del mondo pallonaro che ci circonda. Hanno gufato in troppi: non dimentichiamolo. Del resto, faremo tesoro. I Re Magi controllano una rete che convoglia nel colosso denominato Manchester City FC. La casa di Pep Guardiola, alla caccia disperata di una coppa dalle grandi orecchie sempre più sfuggente. Il fiore all’occhiello come una chimera: a dimostrazione che, nel calcio, spendere troppo non equivale a vincere. C’è da riconoscere che al City non fanno collezione di figurine, come a Parigi. Il progetto tecnico, a Manchester, viene prima di tutto. Il resto, è anche fortuna: che nel calcio non guasta. Aiutati, che prima o poi Dio ti aiuta. Tanta manna è controllata da un pozzo con tanto di fondo: ma sterminato. La Abu Dhabi United Group lascia alla China Media ed alla CITIC Capital il 12% delle quote. Il football, con il rientro nei ranghi degli oligarchi russi, svolta definitivamente ad Oriente. Il pacchetto dei club controllati, comprendendo il Palermo, arriva ad undici. Si sono fatti la squadra di calcio con le squadre, gli sceicchi. In Europa, oltre ai Citizens, gli spagnoli del Girona, i francesi del Troyes ed i belgi del Lommel. Il New York City negli Stati Uniti, Montevideo City Torque in Uruguay, Melbourne City in Australia, Mumbai City in India, Sichuan Jiuniu in Cina, Yokohama Marinos in Giappone. Il Mondo gli appartiene, ad un Gigante tutt’altro che fagocitante. È questo, l’aspetto più importante. Perché non dobbiamo considerare lo sceicco e tutto il management che gli ruota attorno come dei buoni samaritani disposti a spendere e spandere per la felicità altrui. Da uno e nessuno a ben più di centomila: il Barbera, ha fatto impressione e la promozione ha accelerato il passo. E adesso, calma. Abbiamo fatto la nostra parte, ma non è finita. Nessuno pretende che ad ogni partita accorrerà allo stadio il pubblico delle grandi occasioni, ma neanche il ritorno dei soliti quattro gatti. Ovvio, il palermitano non è stupido: niente prese in giro. Ci siamo passati e non abbiamo guardato in faccia a nessuno, compreso un patron che abbiamo ringraziato più volte e forse troppe. Ma io c’ero e c’eravate anche voi: lo zoccolo duro. Ed eravamo in pochi, in gare non tra scapoli ed ammogliati. Era l’Europa. Facciamo i conti al patrimonio dello sceicco, ma non dimentichiamo la nostra parte. È un do ut des. Per chi non lo sapesse: ‘io do affinché tu dia’. Una sorta di patto non scritto. La cavalleria potrà cambiare la denominazione: ce ne faremo una ragione. Palermo City FC non è altro che il Città di Palermo che ci ha accompagnato a lungo. Vedremo maglie ben griffate e con tante meno scritte: su questo, ovviamente, ci conto eccome. Ma andatele a comprare e assicuratevi un posto al sole: batterà forte, come il nostro cuore. Tra gli spalti del Renzo Barbera, il cielo sarà sempre più rosa. Altrimenti, stavolta, il nero si prenderà tutto: come un buco. Quello sì, senza fondo.

Dario Romano
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GLI IMMORTALI

Calza bene l’affermazione del capitano, Francesco De Rose. Li chiama così, i suoi compagni: autori dell’ennesima prestazione da incorniciare. Il fiore all’occhiello in un finale di stagione semplicemente perfetto. ‘Tutto molto bello’, direbbe Bruno Pizzul: ne avrebbe ben donde. E dire che l’ammonizione a Dall’Oglio in avvio e la spinta in area su Brunori, ignorata dall’arbitro Perenzoni, mi ha riportato alla mente le streghe di Frosinone. Restando sul paranormale, quella serata è mutata in un fluido ectoplasmatico che, prima o poi, finirà col turbare i miei sonni. Forse da questa estate, che inizia nel migliore dei modi: la realizzazione di un sogno, figlio di una mentalità vincente inculcata da un allenatore che definire ‘il migliore’ sarebbe riduttivo. Silvio Baldini è il protagonista assoluto dell’agognato ritorno in cadetteria. Ha trasformato una squadra subissata da critiche feroci ed incapace di esprimersi anche a livelli accettabili. Ma dalla vittoria di Avellino in poi, nel Palermo è cambiato tutto. Come a tutti, è rivolto il dovuto ringraziamento: al Presidente Dario Mirri ed ai suoi uomini fidati, che hanno costruito la squadra sulla fiducia accordata. E ovviamente loro, i protagonisti in campo. Undici eroi e passa che non hanno mollato di un centimetro, attaccando a più non posso, anche quando difendere sarebbe stato più sensato. Su tutti, un plauso particolare allo sposo novello: Matteo Brunori, un attaccante di categoria superiore, che si è sentito in dovere di portarci a suon di reti dove ci compete. Il minimo indispensabile, per una piazza come Palermo. Che è tornata a farci l’amore, con la squadra del cuore. Notti magiche che non dimenticheremo mai. Dai, centotrentamila in pochi giorni: una roba mai vista. Mi auguro che si tratti davvero di un nuovo inizio e non mi riferisco alle vicende societarie. Chi ha partecipato in massa alla corsa per accaparrarsi un biglietto prezioso, avrà realizzato che vivere un match allo stadio è un’esperienza che val la pena di essere vissuta. Se il City Group giocherà bene le sue carte, lo sceicco non si pentirà della scelta. La speranza, è questa: che ci sia un progetto serio. Qualche vittoria e la scoperta di nuovi campioni non basta. Come non basteranno le sirene del mercato, ad ogni giocata del nuovo talento apparso in campo: è questo, che ci ha stancato, ai tempi del patron che tutto ha divorato. Pace all’anima sua: tutto sommato, il friulano voleva bene a Palermo ed al Palermo. Forse, da lassù, ci avrà anche dato una mano. Ma io penso a loro: allo zoccolo duro. Che ha vissuto dall’inizio alla fine l’era Zamparini e la buona riuscita dell’operazione Hera Hora, come le ultime generazioni. Ma, alle spalle, ne ha viste così tante che definirli immortali non risulterebbe affatto fuori luogo. Il rosa ed il nero: dagli anni ’80, una successione di eventi da lasciare cicatrici indelebili. C’erano loro, c’ero anch’io, alla Favorita non intitolata ancora a Renzo Barbera. Quel secondo anello sembrava poterci far volare, come il rapace che ci rappresenta meriterebbe. Poi, l’incubo del baratro che non vuol dire retrocessione: ci potrebbe anche stare. Ma radiazione. Un’altra di quelle parole che odierò per sempre: come Frosinone. Eppure, abbiamo scoperto che anche il gradino più inferiore può regalare soddisfazione: il Palermo della rinascita è sangue fresco che affiora nelle vene. Il Mondiale ci restituisce un impianto più capiente, dall’aspetto imponente. Troppo grande certe volte, troppo piccolo per le occasioni speciali. Quando ci rendono visita le strisciate e altre blasonate, per una serata di gala o per qualche scoppola in coppa, come questa contro i Viola. Troppi anni senza il calcio che conta, hanno spostato le attenzioni verso gli squadroni: una spiegazione che non mi ha mai sfiorato. Per me, per i vecchi cuori Rosanero, esiste solo il Palermo: non scherziamo. Quello dei picciotti è orgoglio: quanti pianti di gioia in curva. Ignazio Arcoleo e Speedy Vasari mi hanno fatto toccare il cielo con un dito, fino a precipitare come un Icaro squagliato al sole. Il piatto piange: ci ha pensato Franco Sensi, a far tornare i conti. Fino all’avvento del nuovo millennio. Dove abbiamo visto cose che il tifoso del Palermo non avrebbe mai potuto immaginare. Nel bene ed anche nel male. L’ingresso in Europa e l’invasione di Roma non son bastate: finisce tutto in brace. Un fallimento sportivo, oltre che societario: una sfilza infinita di timonieri, la maggior parte allo sbaraglio. Fino al nubifragio, dopo che si è venduto tutto. Un tesoro perduto, senza aver vinto nulla e con diverse rose che ci hanno invidiato in tutta Italia. Espugnata ed impaurita da un Palermo tremendo, soprattutto quello di Francesco da Castelfranco. E poi divorato da una conduzione scellerata. L’ennesima favola senza lieto fine: un buco nero che tutto quel rosa inghiotte. Le parole dette da Delio Rossi, mi vengono in mente: come aveva ragione. ‘Passano i tecnici, passano i presidenti, ma il Palermo resterà sempre’. L’Aquila come la Fenice, caro Delio: che risorge dalle sue ceneri. Con il suo esercito di immortali. Ed una schiera di eroi: lasciata a briglie sciolte dal suo condottiero. L’uomo di marmo, quello buono. Da Massa Carrara, il buon Silvio. Il nostro Mourinho. Meriterebbe una statua, immortalato mentre arringa la folla. Alla vigilia dell’atto finale, a scacciare i tanti, troppi gufi: quel rumore dei nemici che abbiamo cancellato col boato di un Barbera sontuoso e corretto. Per intenderci, senza scagliare palloni in campo. ‘A me interessa il percorso’: era quello giusto. Di tutto il resto, non ce ne frega un cazzo.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

QUELLA SPORCA DOZZINA

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1990-1991

Quando il gioco si fa duro, occorre che i duri comincino a giocare. C’è una rosa da sistemare, per realizzare il minimo sindacale. Una piazza come Palermo non può stare in terza serie. Succede: perché, a volte, al peggio non c’è fine. Dopo la rinascita, per compiere la missione, il Palermo di Giovanni Ferrara si affida ad una sporca dozzina: ovviamente, nel senso buono del termine. Guardate: quei volti scavati, concentrati su un unico obiettivo. Gente, qui non si passa: abbiamo fretta. A Franco Liguori si affida una truppa di prim’ordine. Il ritorno, innanzitutto, di Giacomino Modica, talento precoce in origine e adesso pronto e maturo al punto giusto. Un giocatore di altra categoria: per il terzo gradino del calcio nostrano, un lusso. Silvio Paolucci e Giorgio Lunerti rappresentano una garanzia: il primo serve ad allargare le maglie strette delle difese arroccate, il secondo per le stoccate. Un centurione, Giorgione: dalla Campania Puteolana arriva con furore e saranno reti, di quelle pesanti. La difesa è collaudata, con Roberto Biffi lancia in resta tra i vari Pietro De Sensi e Giampiero Pocetta terzini e Fabrizio Bucciarelli nel mezzo. Il centrocampo è in buoni piedi (Massimiliano Favo e Rocco Cotroneo mordono e rilanciano), l’attacco punge sulle fasce (alla opposta di Paolucci ci pensa Donato, ad aprire i Cancelli) e azzanna l’area col centravanti di turno. Se non c’è Giorgio, ecco SandroCangini è un cavallo: a volte dal piccolo trotto, a volte purosangue. Se tirato a lucido, non conosce ostacolo. In regia, regna Sua Maestà: la mia ammirazione per Modica è così svelata. Una corazzata, questa schierata in salsa Rosanero degli ‘Angeli dalla faccia sporca’. Eppure, mai dare nulla per scontato, nel calcio. L’amichevole con la Juve è un omaggio a Totò Schillaci ed alle notti magiche. Paolo Alberto Faccini va a segno e poi al Baracca Lugo: la classica toccata e fuga. Un assaggio di Roberto Baggio, di un altro livello e mi accontento. Poi, ci si cala nella parte che ci tocca, ma l’atmosfera si fa cupa: questo Palermo, non ingrana. Strano, perché l’inizio non è male: Siracusa battuta alla Favorita e vittoria sul campetto del Nola. Ma è il Catanzaro a far scattare l’allarme: tre schiaffi seguiti dal pari a reti bianche in casa con la Torres. Per la dirigenza, occorre una scossa. Ed ecco il ritorno di Enzo Ferrari. Da giocatore, autore di una stagione, tra le altre, da incorniciare. Cambio al timone e si cambia marcia. Parte indenne dalla città del Palio un cavallino rampante, che ne vince cinque e pareggia anche a Perugia. Poi, cede al Cibali e riparte da par suo. Eppure, il finale del girone e l’inizio del ritorno fan gridare allo scandalo: vuoi vedere che lo squadrone si scioglie come neve al sole. Giusta, l’impressione, ma stavolta si fa quadrato e si rinuncia allo scossone: nonostante un rendimento altalenante, che rischia di mettere ancora tutto in discussione. La verità è questa: regna l’equilibrio. Puoi vincere o perdere contro chiunque e puoi arrivare in vetta come precipitare in fretta. CampaniaBattipagliese, il Catanzaro penalizzato di tre punti fatali e la Torres non evitano il baratro, ma tra il Giarre salvo a quote trentadue ed il Casarano terzo a quaranta, contiamo soltanto otto punti di differenza. Dietro la capolista Casertana, la spunta proprio il Palermo. Che ha messo abbastanza fieno in cascina da resistere alle vacche magre. Dopo l’inopinata sconfitta di Battipaglia, che segue la disfatta di Caserta, bastano tre vittorie e cinque pari per staccare l’agognato biglietto per il torneo cadetto. Cinque anni di assenza, dal calcio che meno conta ma che da queste parti contava eccome. E due partite che ti restano nel cuore: il tre a zero al Catania ed il pari con l’Andria. In una Favorita stracolma e piena di gioia. Riguardo il derby di ritorno contro gli etnei, rifatevi pure gli occhi: c’è il Tubo, a racchiudere il ricordo. Di un agognato salto in alto e poi di un viaggio: nel tempo.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

L’UOMO DI MARMO

SILVIO BALDINI

‘Non me ne frega un cazzo, a me interessa il percorso’. Tanto colore, nelle parole di un allenatore. Ma Silvio Baldini da Massa si segnala per ben altro. Non vende fumo: piuttosto, regala arrosto. Tornato dove fu esonerato, ha trovato un Palermo di mattoni e ce lo ha restituito di marmo. Non è poco, per un novello Augusto. Non ancora imperatore, ma è ad un passo anche per questo. Comunque vada a finire, il plauso è meritato e doveroso. Perché quanto ha realizzato non è altro che un miracolo sportivo, un capolavoro che ha cambiato tutto. Il suo tocco non riguarda soltanto il Palermo, inteso come squadra. Avvolge una città intera ed i suoi figli lontani, dispersi ovunque ma attaccati per sempre alla loro terra di origine. Il mondo Rosanero ne fa parte, ovviamente. Per quanto mi riguarda, finché morte non ci separi. Chissà, magari si andrà anche oltre. Intanto mi accontento, di non aver perso uno come Silvio. Dicono che l’allenatore, nel calcio, conti fino ad un certo punto. Tutte minchiate: scusate le mie, di parole. Siamo tutti d’accordo che personaggi come Mourinho, oltre che gran comunicatori, sappiano spremere i limoni oltre ogni limite concesso dalla natura. Ma non è un trucco: c’è tutto il resto. L’arte di stravolgere gli schemi e quindi i risultati. Baldini c’è andato eccome, oltre. Non ha un percorso vincente, non si è portato la cavalleria: ha accettato la sfida e si è calato da par suo. Il suo tesoro, sono gli eroi che ha plasmato a suo piacimento. Sì, sei un uomo di marmo, Silvio. Perché quelli che vediamo vincere ad Avellino, Monopoli, Bari, Trieste, Chiavari, Salò e Padova son gli stessi uomini che le prendevano di brutto a Picerno e non solo. E allora avanti così, per la tua strada. Maestra come questa: da uno, nessuno e quattro gatti, hai riempito il Barbera fino a centomila e oltre nell’arco di qualche settimana. Questa, è già una vittoria. Potrei dire che di tutto il resto, non me ne freghi un cazzo. Non è così: ci tengo troppo. Ma grazie lo stesso: in un periodo duro come questo, anche un semplice sogno può bastare. Un altro piccolo blocco ad incastro e sarà storia: per la leggenda, basta un’intervista come questa. Pensavo di aver visto tutto, nel mio percorso da tifoso: che abbaglio. Come, ad esempio, il salvataggio sulla linea di Marconi. C’è tutto il tuo Palermo, in quel gesto disperato. Plasmato da te, Silvio: appunto, con il marmo.

Dario Romano
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