L’UOMO DI MARMO

SILVIO BALDINI

‘Non me ne frega un cazzo, a me interessa il percorso’. Tanto colore, nelle parole di un allenatore. Ma Silvio Baldini da Massa si segnala per ben altro. Non vende fumo: piuttosto, regala arrosto. Tornato dove fu esonerato, ha trovato un Palermo di mattoni e ce lo ha restituito di marmo. Non è poco, per un novello Augusto. Non ancora imperatore, ma è ad un passo anche per questo. Comunque vada a finire, il plauso è meritato e doveroso. Perché quanto ha realizzato non è altro che un miracolo sportivo, un capolavoro che ha cambiato tutto. Il suo tocco non riguarda soltanto il Palermo, inteso come squadra. Avvolge una città intera ed i suoi figli lontani, dispersi ovunque ma attaccati per sempre alla loro terra di origine. Il mondo Rosanero ne fa parte, ovviamente. Per quanto mi riguarda, finché morte non ci separi. Chissà, magari si andrà anche oltre. Intanto mi accontento, di non aver perso uno come Silvio. Dicono che l’allenatore, nel calcio, conti fino ad un certo punto. Tutte minchiate: scusate le mie, di parole. Siamo tutti d’accordo che personaggi come Mourinho, oltre che gran comunicatori, sappiano spremere i limoni oltre ogni limite concesso dalla natura. Ma non è un trucco: c’è tutto il resto. L’arte di stravolgere gli schemi e quindi i risultati. Baldini c’è andato eccome, oltre. Non ha un percorso vincente, non si è portato la cavalleria: ha accettato la sfida e si è calato da par suo. Il suo tesoro, sono gli eroi che ha plasmato a suo piacimento. Sì, sei un uomo di marmo, Silvio. Perché quelli che vediamo vincere ad Avellino, Monopoli, Bari, Trieste, Chiavari, Salò e Padova son gli stessi uomini che le prendevano di brutto a Picerno e non solo. E allora avanti così, per la tua strada. Maestra come questa: da uno, nessuno e quattro gatti, hai riempito il Barbera fino a centomila e oltre nell’arco di qualche settimana. Questa, è già una vittoria. Potrei dire che di tutto il resto, non me ne freghi un cazzo. Non è così: ci tengo troppo. Ma grazie lo stesso: in un periodo duro come questo, anche un semplice sogno può bastare. Un altro piccolo blocco ad incastro e sarà storia: per la leggenda, basta un’intervista come questa. Pensavo di aver visto tutto, nel mio percorso da tifoso: che abbaglio. Come, ad esempio, il salvataggio sulla linea di Marconi. C’è tutto il tuo Palermo, in quel gesto disperato. Plasmato da te, Silvio: appunto, con il marmo.

Dario Romano
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IMMENSO

MATTEO BRUNORI

Quando Matteo Brunori sbarca a Palermo, non pochi esprimono il proprio malcontento. Del resto, dopo l’addio di Lorenzo Lucca, ci si sente depredati di un tesoro venuto improvvisamente allo scoperto e presto monetizzato per giusta causa. Impossibile trattenere il nuovo lungagnone: ce ne siamo fatti una ragione. Il nuovo arrivato non sembra proprio l’attaccante di categoria tanto invocato: l’italo-brasiliano di proprietà bianconera ha l’età giusta per una completa maturazione, ma i numeri non sono dalla sua parte. L’ultima stagione con l’Entella lo dimostra: la mette soltanto tre volte. Il resto della carriera parla di un buon intermezzo all’Arezzo e poco altro. E sì, Pietro Cianci sarebbe stato meglio: anch’io ci casco, ma ho preso un abbaglio. Poi ci si mette anche Giacomo Filippi, che in conferenza stampa sembra spararla grossa: per lui, Matteo è l’attaccante più forte del torneo. Punto e accapo: poi, si apre il cielo e non solo. Perché il nostro entra in gioco dopo il terremoto, quando dall’alto comincia anche a piovere. Con il ritorno di Silvio, l’avvento: perché il portento si materializza con una carrettata di reti. I meriti di Baldini vanno riconosciuti: gliene diamo atto e lo faremo a tempo debito. Intanto, commento il momento d’oro che sta vivendo il giovanotto: che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Una dote innata, ammirata con un’altra rivelazione sbocciata all’ombra del Pellegrino. Anche Luca Toni, con i Rosanero, è esploso. Il lungagnone per eccellenza è stato il capostipite dei grandi centravanti e di tutti coloro che gli gravitavano intorno, nel Palermo di inizio millennio. A parte i numeri, che con Brunori impongono il rispolvero del pallottoliere, le differenze tra i due si sprecano. Le categorie c’entrano fino ad un certo punto: sono le caratteristiche a porli su due piani diversi. Più finalizzatore il primo, autentico panzer dell’area di rigore e opportunista al punto giusto: un po’ come il compianto Pablito. Gianni Agnelli, quando non si distingueva chi avesse avuto la meglio nel metterla dentro, ha confessato che non ci voleva molto a risolvere l’arcano: ha segnato Rossi. Sul pallone sporco, anche Luca ci passava una pezza: ed ecco la palla filosofale, l’invenzione dell’attaccante fenomenale. Gerd Müller e Pippo Inzaghi appartengono alla stessa pasta di cotal fatta. Ma Matteo no, è un’altra roba. Emersa in terza serie, ma che ci vuoi fare: il calcio ha diverse latitudini ed altrettante declinazioni. Non voglio fare paragoni, ma tra eroi della stessa maglia posso trarre le mie conclusioni. Giochi e voli pindarici che svelano cosa sto pensando, quando chi mi sta accanto se lo sta chiedendo: vaglielo a spiegare. Tanto, non possono capire. Che venticinque marcature nella stagione regolare e le altre che ci stan facendo sognare, ti fanno vacillare. Dove può arrivare, Brunori: un giocatore che non vive soltanto nell’area di rigore, ma svaria su tutto il fronte. E lo fa da par suo: rendendo semplici le giocate più difficili, a miracol mostrare perle incastonate che resteranno scolpite. Gli avversari come birilli, saltati con pallonetti e giravolte non fini a sé stesse. Perché il talento non è riservato al tocco morbido, al colpo ad effetto. Matteo la chiude di giustezza: con una bomba, una botta all’incrocio, uno scavetto. Non c’è un marchio: ma un repertorio completo. E quando non è cosa, non si dà per vinto: cambia gioco, cerca lo scambio. Vuoi che succeda qualcosa e allora lancialo: in campo aperto o attorniato, San Matteo è ispirato al punto che fermarlo è proibito. Una trasformazione che potrebbe avere più di una spiegazione: lui ci crede e tutti credono in lui. La motivazione non è tutto: c’è anche la tattica. Chi lo supporta, usufruisce degli stessi spazi che lui dona. Se ne sono avvantaggiati tutti, dalla trequarti. Dove luccica un astro immenso. È questo che penso, del ‘mostro’. Di quel volto da bambolotto con il taglio mai scomposto. Forse, avrà un pettine nascosto. Probabile, ma scherzo, perché non la prende quasi mai di testa: non è un limite. La capoccia, fuori area, serve più che altro a pensare. Calcio, ma quello di alto livello. Dove vorrei continuare ad ammirarlo: ovviamente, con la maglia giusta addosso. La casacca, come si diceva una volta, rigorosamente Rosanero: son questi i colori, per Matteo Brunori.

Dario Romano
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BIFFI & SODA

UNIONE SPORTIVA PALERMO 1993-1994

Per una volta, una bella coccarda sulla maglia. Fa sfoggia per la relativa doppietta: promozione e coppa. Ma Angelo Orazi lascia: è questa la notizia che sconvolge l’ambiente. Si parla di un presunto accordo raggiunto con l’Udinese: non se ne farà niente, ma ciò è sufficiente per un addio a malincuore. Un peccato, perché si giocava bene e, con qualche ritocco, si poteva fare altrettanto nel gradino più alto. Si corre ai ripari, ma la scelta del nuovo timone si rivelerà affrettata. La partenza, è da brividi. Che la Fiorentina fosse di passaggio, si dava per scontato. I Viola sono una corazzata: vantano Gabriel Omar Batistuta in rosa, ma il lusso per la categoria è anche il crucco Stefan Effenberg. Un cliente scomodo, per il debutto casalingo: Enrico Nicolini ha da poco appeso le scarpette al chiodo e dopo un breve rodaggio si siede sulla panca del Palermo. Un bel trampolino, ma il rischio è lo scotto. Pagato a caro prezzo: tre reti a domicilio alla prima, ma nulla di allarmante. Nell’ultimo torneo che assegna due punti a vittoria, anche a piccoli passi la classifica può muoversi. Ma a Cosenza è calma piatta, fino al golletto dei Silani. Col Ravenna, la Favorita rinuncia già: non si veste a festa. A festeggiare, è l’avversaria: la rete di Francioso è più di una sentenza e frutta il benservito. Sancito anche da numeri inequivocabili: tre gare senza punti e senza reti. Enrico si è bruciato. Per domare l’incendio che minaccia il Palermo, arriva l’uomo giusto: Gaetano Salvemini. Nomen omen: il resto, è soprattutto esperienza. Che a questo punto conta, vista l’aria che tira. Non gli si chiede mica la promozione, ottenuta alla Bari, ma almeno una salvezza che in Puglia ha centrato due volte nel gradino superiore della massima serie. Serve mettere fieno in cascina, prima dei ritocchi da apportare a Novembre: la squadra, non è adatta alla serie cadetta. Eppure reagisce. La mano del nuovo allenatore si intravede un po’ in Toscana: col Pisa, quarta sconfitta consecutiva maturata solo nel finale. L’attacco è ancora a secco, ma dopo appena tre minuti si sblocca in casa contro il Verona: la firma è di Sasà Buoncammino. A chiuderla, un giovane terzino. Pietro Assennato lo conosciamo: aveva già debuttato in Rosanero. Un soldatino, il palermitano, che negli anni novanta si guadagna meritatamente più di cento presenze con la casacca del cuore. La doppia casalinga è da sfruttare: alla Favorita arriva il Pescara e diluvia. Piovono anche reti: un rigore per parte, ma Bivi e Borgonovo non bastano agli ospiti. Torna il Rizzolo di una volta: Antonio fa doppietta e c’è anche una buona novella. La rete di un difensore con un cognome importante: non è Gianni, ma Gaetano, gioca tutt’altro che in attacco ma va a referto: De Rosa è nato in Germania, ma è uno scugnizzo niente male e con i piedi ci sa fare. Due vittorie consecutive fan ben sperare, ma ad Ancona la difesa cede: si rivede Felice Centofanti, che ci riporta giù tutti quanti. La picchiata definitiva è una doppia sberla targata dal Condor Agostini. Quando Buoncammino risolve il match col Bari, sembra di rivedere un film già visto: Rosanero bene alla Favorita e male altrove. Arrivano gli innesti, a cominciare da Federico Giampaolo. Il talento del trequartista è indiscusso, ma in Sicilia il giovane di proprietà Juve non sfonda. Meglio a Novembre, quando arriva la cavalleria: Gianmatteo MaregginiTebaldo BigliardiValeriano Fiorin e Antonio Soda. Un elemento di spicco per ogni reparto, con tanto di clamoroso ritorno. Il portiere non è una saracinesca, ma con i Viola ha fatto esperienza. Una bandiera rosa degli anni ottanta, Bigliardi, scudettato col Napoli di Maradona e consacrato con l’Atalanta. Chi se la scorda, la botta di Fiorin contro i Reds, mentre Soda è l’attaccante di categoria che mancava alla causa. Il tempo di registrare la formazione e si riprende a marciare. Due vittorie e quattro pari, con la sconfitta in Brianza ad opera del Monza che chiude il girone. Di far punti a Firenze, neanche a parlarne: Biffi realizza la rete della bandiera dopo quattro pappine. Poi, è un altro Palermo. Che ad Aprile riscopre il mal di trasferta: fa da contraltare la tripletta casalinga del nuovo attaccante, che schianta l’Ascoli. Inizia Maggio con l’autorete di Davide Campofranco nel finale sfortunato di Acireale, ma che è primavera si avverte da un partitone in casa col Cesena: dove Soda raggiunge quota otto marcature e Sasà timbra per l’ultima volta nel calcio che un po’ meno conta. La paura fa novanta, a quattro gare dal termine. Tre pari a reti bianche, poi quella benedetta punizione che ci allontana di un punto da una bagarre che condanna PisaRavenna e ModenaFiorentina in scioltezza, promossa insieme a BariBrescia e Padova. Il fanalino di coda è deciso da tempo: il derelitto Monza, che strappando un punto inutile ci avrebbe condotto all’inferno. Poi, arriva lui, bello bello. E la mette da par suo: per Roberto, è questo il momento di gridare al vento. Ed è BIFFI GOL.

Dario Romano
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‘COME HAI FATTO!?’

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 1994-1995

Ad un certo punto, nella storia rossonera, alla sconfitta col Palermo ci si farà il callo. Era già successo, ma soltanto all’ombra del Pellegrino. Tra le altre, quando lo sciagurato Egidio riserva al Diavolo l’ennesima amarezza. A San Siro o Meazza che dir si voglia, la prima volta si materializza in una serata di fine estate. L’eccezione si farà regola, ma la fantascienza è ancora materia sconosciuta al tifoso Rosanero. Quando si espugna la ‘Scala del calcio’, il racconto è più che altro biblico: succede che Davide abbatte Golia. Una sensazione non per tutti: riservata a chi non tiene per le grandi. Al primo turno, il Palermo è maramaldo: si espugna del Ravenna il campo. Giallorossi in vantaggio con Antonioli dopo un quarto d’ora nella ripresa, risponde Massimo Cicconi e sentenzia Roberto Biffi nel finale. Un buon segnale, ma a Milano basterebbe uscire a testa alta: non è mica una prova del nove. La formazione che Gaetano Salvemini manda apparentemente allo sbaraglio non è niente male: questo, è un Palermo che fa sognare, almeno sulla carta. Ma di spuntarla col Milan in trasferta non se ne parla. Mi accontenterei di un pareggio, di una sconfitta di misura. Per aggiungere un po’ di sale al previsto match di ritorno: non mancheranno anche pepe e peperoncino. L’undici ospite spicca, sul terreno di gioco: perché il completino della ABM è quasi tutto bianco. Il nuovo arrivato a difendere i pali, Gianmatteo Mareggini, sceglie invece il giallo. Il reparto difensivo è composto da tre centrali: alla coppia ben collaudata da Ciro Ferrara e capitan Biffi, si aggiunge Mirko Taccola. La novità rappresentata da Massimo Brambati si esprimerà a destra, anche se è più lecito aspettarselo maggiormente in copertura che all’avventura. Giovanni Caterino farà da supporto sul lato sinistro in entrambe le fasi, mentre a centrocampo Beppe Iachini farà da chioccia a Masino Pisciotta: tra un tackle e l’altro, farà molto più del previsto. L’inventiva è tutta nei piedi di Lorenzo Battaglia e Pietro Maiellaro: il ritorno dello Zar è gradito, ma l’occhio di riguardo è tutto per Sasà Campilongo. Il vero botto di un mercato succulento, come non si era mai visto. Fabio Capello, per il secondo turno di coppa, pensa all’ordinaria amministrazione, ma non schiera un Milan dimesso più di tanto. Ielpo in porta, Galli e Costacurta centrali, Tassotti e Panucci terzini. Il centrocampo è inedito: Sordo e Donadoni sulle fasce, Albertini in mediana e Gullit a briglia sciolta. Il tulipano fa da spola e da supporto ai due avanti: Simone, autore di una stagione da incorniciare e Lentini. Questi è un’ombra, dopo il recente incidente. Io penso ancora a quel cappotto rimediato in un’amichevole precampionato: ferite ancora aperte che non ho smesso di leccare. Otto reti a domicilio, con il trio olandese in gran spolvero. Rijkaard è ora all’AJAX, mentre il Cigno di Utrecht è al canto: Marco van Basten sta soffrendo le pene dell’inferno. Ruud è tornato, ma l’esperienza alla Samp non è ancora finita: la sua, sarà una ritoccata e fuga. A gara iniziata, lo spartito non sembra riservare sorprese: padroni di casa all’attacco e Palermo chiuso a riccio. Quando la barricata cede, Gullit la cicca o prende la traversa, mentre Panucci alla trave fa la barba: il Diavolo impreca, perde smalto e le Aquile ci credono. Quindi, il volo. Quarantaduesimo: corner sul fronte sinistro d’attacco, dalle parti di IelpoBattaglia e Maiellaro scambiano corto, poi Lorenzo guarda in mezzo e calcia teso un pallone velenoso. Lo è altrettanto l’esito: in un’area affollata di marcantoni, la spunta Iachini. A due passi dal dischetto, l’impatto: la sfera tocca terra a mezzo metro dalla linea di porta e riprende la sua corsa ineluttabile. Nulla da fare per l’estremo difensore: è destinata all’angolo. ‘Ma come hai fatto!? Come ci sei riuscito!?’ Biffi racconta il tormentone che precede il match di ritorno. Ma Beppe non è il solo, a lasciare il segno: nel secondo tempo, lo spreco di PietroZar, come hai fatto, a tu per tu con Ielpo. Temo la legge del goal sbagliato, goal subito: ma per fortuna entra in scena Gianmatteo. Non ruberà l’occhio, ma a San Siro è perfetto: il portiere si esibisce da par suo su Tassotti e Stroppa. Che farà pari e patta in una Favorita fatta bolgia. L’amaro in bocca, a vederlo svettare e colpire, anche lui, di testa. Poi, sempre loro: la maledizione degli anni novanta. Dagli Azzurri ai Rosanero, il trionfo non è ad un passo: dista undici metri. Quegli odiati, maledetti rigori.

Dario Romano
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AD UN PASSO

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1977-1978

Subentrato nel finale di una stagione con due cambi al timone, l’ex attaccante dal volto intrigante si guadagna la conferma. In panca, siede Nando Veneranda. Potrebbe fare pure l’attore, il lungagnone, ma meglio così. Un signor allenatore, ‘El Gringo’, che al Palermo è al primo atto di un trittico col finale tragico. Tutt’altro all’inizio: si sfiora il botto. Il colpo grosso non si materializza per un soffio: il fiato corto ad un passo dal traguardo ed il sogno è infranto. Un vero peccato, considerando l’andamento in un torneo meno complicato del previsto. Da una retrocessione scongiurata ad una promozione sfiorata: ma alla fine, rimane tutto come prima. Dal Matera, arriva Vito Chimenti: è questa la notizia. Non sarà un centravanti come tanti altri: questo, è per cuori forti. Sedici reti, tanto spettacolo ed un cavallo di battaglia: la bicicletta. Si è alzata l’asticella, in un reparto che resta comunque anemico: si segna poco, un mal comune che di gaudio ha altrettanto. Difese agguerrite ed a volte basta una sola rete: quel che non manca, ogni tanto, al Palermo. I Rosanero partono al piccolo trotto, confermando un limite che ai tempi è la norma: in trasferta, si fa spesso cilecca. PistoieseAscoli e Sambenedettese la spuntano, mentre alla Favorita ci si abitua al pari a reti bianche. Dieci pareggi, nel girone d’andata: troppi e decisivi, considerando che quattro punti in più, al tirar delle somme, avrebbero consentito il salto in massima serie. Al giro di boa, si svolta e Vito si materializza in tutto il suo splendore. Soprattutto ad Aprile, quando il Palermo cambia passo e nulla è più lo stesso. Si espugna Taranto, la terza ed ultima affermazione lontano dal Pellegrino, alle cui falde lo stadio si è fatto fortino: imbattuti in casa, per tutto il campionato. Quattro vittorie consecutive nella bolgia spalancano i sogni di gloria. Con Chimenti, è bandiera rosa ai quattro venti. A quattro giornate dalla fine, si batte la Ternana e si incrociano le dita: che sia la volta buona. Lo scontro diretto col Catanzaro, però, sorride ai Giallorossi, la Cremonese strappa un punto che non gli servirà più di tanto ed in Emilia Romagna la conferma: da rosa, la bandiera del Palermo si è fatta bianca. Due a zero per il Cesena, con i giochi ormai fatti. Coinvolti tutti, escludendo la testa e la coda. Modena fanalino, con appena venti punti. La stessa Cremo ed il Como la distanziano di brutto, ma non evitano il baratro. Lassù, invece, un Ascoli inarrestabile: appena tre sconfitte, ben ventisei vittorie. I marchigiani di RozziRenna e del cannoniere Ambu fanno il vuoto. Chiudono a sessantuno, con Catanzaro e Avellino appaiate seconde e promosse a quota quarantaquattro. I rosa chiudono al sesto posto: a quattro punti dalle premiate. Un piccolo passo, un ultimo sforzo: mancato troppo spesso. Non soltanto per il fiato corto: al primo Palermo di Veneranda non si può rimproverare nulla. Nel calcio, la differenza è fatta da uomini come Vito Chimenti. E da un pallone che non entra. La torta, indigesta: ma la ciliegina resta.

Dario Romano
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UNA SERA DA LEONI

La prima pagina del ‘Giornale di Sicilia’ del 31/08/1995: una reliquia. L’omaggio è per Ignazio Arcoleo, immortalato a fianco di una porta che i Rosanero hanno violato per tre volte. In alto, campeggia il titolo principale: l’attacco della NATO alla Serbia. Sono passati più di vent’anni e la solfa, non cambia: ci sono ancora, i venti di guerra. La pugna andata in onda alla Favorita è di ben altra pasta: ‘una sera da leoni’. Non sarà l’ultima: il ‘Palermo dei picciotti’ ha appena iniziato a dare spettacolo. Non è la prima volta che vediamo Davide abbattere Golia: sempre in coppa, il leone per eccellenza espugnò il Meazza al secondo turno. Meno di un anno addietro, Beppe Iachini mostrò un altro Diavolo a Capello. Che al ritorno vide pure le streghe: partita epica. In sala stampa, Don Fabio apparve proprio stremato, ma sollevato per un esito che sorrise ai Rossoneri dagli undici metri: nonostante l’inferno di una Favorita vestita a bolgia. Stavolta, è gara secca: la vittima, il Parma di Nevio Scala. Che rinuncia al suo mantra: per il debutto di Hristo Stoichkov, giunto in Emilia in pompa magna, l’allenatore dei Ducali detentori della COPPA UEFA, schiera una formazione inedita. Rinuncia al suo punto forte, quella difesa a cinque che è come un marchio di fabbrica. Lascia a briglia sciolta Gianfranco Zola ed è cosa buona e giusta, affida la regia a Massimo Brambilla e appoggia l’unica punta con la brutta copia di un Tomas Brolin tutt’altro che in forma. Lo svedese non è più lo stesso, dopo l’infortunio: presto ai margini, lo attende il Leeds ed un mesto finale di carriera. A Palermo, invece, è tempo di fiori d’arancio. Il matrimonio con l’ex mammasantissima si è materializzato e promette nozze mai viste. Arcoleo ci ha pensato spesso, al suo ritorno: quasi ospite fisso delle emittenti locali, dichiara a più riprese il suo intento, esibendo tanto di prove sul campo. Con il Trapani ha sfiorato il miracolo: quarto posto e salto in alto vietato dal Gualdo. La società di Andrea Bulgarella ha vissuto un sogno: una stagione da incorniciare, nonostante l’esito finale. Sia chiaro, ben oltre le attese. Protagonista assoluto: Nino Barraco, presto in rosa arruolato. Ciccio Galeoto lo sa bene, cosa ci attende. Il terzino giunge dalla ciurma del capitano di lungo corso e avverte: ‘vedrete il Palermo correre’. Me la segno, questa: giunto in curva, mi aspetto una gara tosta e nulla di più. Non avevo fatto i conti col Vasari. I filmati degli Acesi hanno fatto un gran bel giro: ci hanno mostrato una trottola, una scheggia impazzita e dotata di quel talento che non guasta. ‘Topolino’ non corre e basta: salta gli avversari come birilli, ma nella sua città racconterà un’altra storia. Perché la mette pure che è un piacere. La curiosità di vederlo all’opera è tanta, come la gente accorsa. Più di ventiduemila paganti, ma alla Favorita gli spalti vuoti son davvero pochi: siamo circa in trentamila. I Rosanero hanno espugnato Acireale al primo turno: con una rete per tempo, ad opera dello stesso Galeoto e di Massimiliano Pisciotta. I palermitani, abbondano anche in campo. Comunque vada a finire, a spiccare è anche la fame di undici leoni a caccia delle povere pecorelle smarrite. Altro che ‘Dream Team’, per Hristo: il bulgaro, vivrà un incubo. Scornato da gran favorito: lo ha già vissuto ad Atene, con l’imbarcata del Barça di un presuntuoso profeta. Stretto tra le maglie di Robertone Biffi e Ciro Ferrara, i morsi di Iachini, i raddoppi di marcatura: sembrano troppi, gli uomini in rosa. Dalla curva, si nota la stessa cosa. I Rosanero, non solo corrono: pressano di brutto, scambiano di prima, cercano la porta con insistenza. E già al settimo, la sbloccano. I terzini del modulo a zona architettato da Ignazio, arano il campo ma non si limitano a far su e giù dalla fascia. Quando possono, irrompono e fanno danno. Iachini vede l’inserimento di Giovanni Caterino, tutto solo a sinistra. La difesa non intercetta la sfera ed il biondo la stoppa, se la aggiusta, mentre si avvicina sempre di più alla porta. La sua bomba è una saetta che fulmina Luca Bucci nel sette. Il boato assordante accompagna la sua capriola liberatoria. La sberla non rinsavisce il ParmaScala lamenterà la mancanza di condizione, ma la lentezza dei suoi è solo una scusa. La verità sta nel mezzo: è il Palermo, che ha un altro passo. Io mi aspetto una reazione, nonostante tutto. Basterebbe un calcio piazzato, una giocata del tamburino sardo, un’incursione di Dino Baggio, un colpo ad effetto del Pallone d’oro. Ma c’è il mio numero uno, come ultimo baluardo. Gianluca Berti è attento, mentre le sporadiche occasioni degli avversari nascono soltanto da spunti individuali, annebbiati da spazi e tempi sempre più stretti. Mentre mi stropiccio gli occhi, cede Antonio Rizzolo: anche lui sembra incontenibile, come nella stagione maledetta di una retrocessione assurda. Sguscia a sinistra ma prende una botta: al suo posto, entra Giovanni Di Somma. Non c’è una vera e propria cantera, ma è pur sempre un altro figlio della casa. Mentre l’attaccante umbro lascia il campo e non solo quello, il ‘Palermo dei picciotti’ prende sempre più corpo. All’intervallo, le mie preoccupazioni aumentano: a quel ritmo, si pagherà dazio. Ripresa: la favola che si materializza in tutto il suo splendore. Che potesse far male, si era già capito: ma non fino a questo punto. Il funambolo col numero sette sulle spalle onora i grandi del ruolo: è il suo turno. Lo schiaffo arriva ancor prima che nel primo tempo. Al secondo, ‘Speedy’ aggancia in area, resiste al contrasto, se la passa dal sinistro al destro in un millesimo di secondo e tira forte. Sembra una botta alla Totò Schillaci, quelle della non lontana Italia ’90. Ma la serata è ancora più magica perché non è ancora finita. Fila tutto liscio, anche quando Hristo ci prova da distanza ravvicinata: la paratona di Berti toglie ogni speranza al Parma, che alza definitamente bandiera bianca. Bucci anticipa il sempre più indemoniato Vasari di un soffio, ma si arrende ancora nel finale. Da sinistra a destra, Caterino sciabola per Tanino che colpisce al volo. Una spaccata in corsa da vedere e rivedere: per capirci qualcosa. Dalla curva, l’effetto è un flipper che finisce col muovere la rete. Quel tanto che basta per capire: è entrata ed è qui la festa. Sogno o son desto: entrambe, le accendo. La calma è imposta dalla ragione, non dal cuore: siamo soltanto ad inizio stagione. Ma non era un fuoco di paglia. Questi leoni avevano appena iniziato a ruggire. Il loro gregge, a crederci. Perché uno spettacolo del genere, da queste parti, non si era mai visto. Il ‘Palermo dei picciotti’ nasce in una serata di fine agosto. Soltanto per la mia generazione, ha rappresentato uno spartiacque. Non c’è un prima, non c’è un dopo: soltanto perché è durato troppo poco.

Dario Romano
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L’ONTA

SOCIETÀ SPORTIVA CALCIO PALERMO 1983-1984

Prima o poi, doveva capitare. Più di ottant’anni di storia, la metà trascorsa per buona parte nei piani alti. L’attico mai raggiunto, ma un posto nel palazzo buono è spesso guadagnato. Ogni tanto, si è spesso sognato, anche più del dovuto. Ma quando l’ascensore non sale più, prima o poi ti manda giù. E arriva l’onta della prima retrocessione del Palermo dalla serie cadetta. La disdetta, si materializza dopo una salvezza per il rotto della cuffia. Gianni De Rosa saluta: il bomber lascia il promontorio per un vulcano. Dal Pellegrino al Vesuvio, il passo è un addio più deleterio del previsto. Per sostituirlo, arriva un giovanotto che di primo acchito sembra uno straniero. Ma Hubert Pircher è italiano: nato a Bressanone, il virgulto pare un predestinato. Paga qualche infortunio di troppo, ma debutta col botto in quel di Bergamo. Il rodaggio è spesso interrotto, ma il coraggio non manca: alla prima occasione in massima serie, trova la rete e più di un estimatore. Dall’Atalanta all’Ascoli, l’attaccante mostra di saperci fare, soprattutto se tirato a lucido. Sei marcature in pochi mesi gli valgono un presunto viaggio premio in Spagna. Pensateci: se non fosse stato per la pubalgia che lo rimette ai box, al posto di Franco Selvaggi il ‘Vecio’ avrebbe insignito, suo malgrado, proprio Pircher del titolo di campione del Mondo. Il destino, però, gli riserva altro: ovvero, il PalermoGustavo Giagnoni è reduce dal flop col Cagliari. Il tecnico sardo scende in B ma cambia isola. Le premesse sarebbero allettanti: la squadra è valida, l’ambiente bello caldo, in tutti i sensi. Dovrà fare a meno del colbacco che lo contraddistingue, ma anche dei buoni propositi. Si parte male con l’eliminazione in coppa, dove fa ancora bella mostra il mitico sponsor VINI CORVO. Il nuovo, Pasta Ferrara, non porterà fortuna. L’inizio del campionato, invece, è meno sconfortante. Reti bianche a Trieste, debutto in casa di misura sulla Sambenedettese. La porta è inviolata, fino alla terza: il ritorno in Sardegna costa la prima sconfitta, cancellata dall’affermazione contro il Catanzaro. Si segna poco, si subisce ancora meno. Segnali incoraggianti, fino a quando il Palermo ingrana la quarta ed inquadra la porta che è una bellezza. Cinquina al Pescara, due reti alla Pistoiese con Pircher protagonista. La difesa è il punto forte: in trasferta, non si fa voce grossa ma si tiene e basta. E potrebbe bastare, per sognare in grande. Quando, a Dicembre inoltrato, Gianni De Biasi la sblocca in zona Cesarini col Campobasso, i Rosanero salgono addirittura al quarto posto. Dopo, cambierà tutto: perché il Palermo non vince più. Fino a Marzo, quando si strappano due punti all’Empoli. Il reparto difensivo si è fatto colabrodo, la Favorita da fortino a terra di conquista ed in trasferta è spesso bandiera bianca. Il cambio al timone è ormai inevitabile: a Giagnoni, subentra Graziano Landoni. Al cuor non si comanda: l’ex regista dei rosa è un palermitano adottato. Prova la scossa: a Cava, il vantaggio di Massimo De Stefanis arriva vicini allo scadere. C’è un rigore nel finale: per la Cavese, trasforma Roberto AmodioGiuseppe Volpecina vive una stagione particolare: incide sotto rete, a dimostrare che a mancare è proprio lo stoccatore eccezionale. Il capocannoniere sarà De Stefanis, che arriva a quota undici. Non bastano, come qualche bugia che Giampaolo Montesano ci riserva ancora. Fino alla farsa di Cremona: tre reti per parte che destano più di un sospetto. Fatale il pari col Cesena, inutile la vittoria finale col Monza. Un punto in meno equivale al baratro. La classifica è cortissima: AtalantaComo e Cremonese staccano il biglietto, ma senza impressionare più di tanto. Tra i Rosanero ed i Grigiorossi, giunti al terzo posto utile per il salto, il distacco è di undici punti: non sono molti. PistoieseCavese ed il Catanzaro fanalino, ci fanno compagnia al piano più sotto. Io, piango a dirotto: negli anni ottanta, ne vedrò di tutti i colori. Gioie e dolori: non potrebbe essere altrimenti. La storia è scritta da quei colori: dolce e amaro. Scoprirò il senso della mia passione: nel calcio, la serie non conta. Anche dopo l’onta: non sarà nulla, al confronto di un incubo dietro l’angolo.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

STAZIONE BARBERA

Buona la prima, per il Palermo. Che a Tel Aviv strappa i tre punti e debutta tranquillo alle falde del Pellegrino. Per il secondo turno del gruppo, in Sicilia è attesa una locomotiva partita da molto lontano. Strano: anche il terzo avversario della competizione è rappresentato da un club ubicato a diversi km di distanza. Ma dopo i viaggi a Cipro ed Israele, i Rosanero stavolta attendono. Dalla Russia, ecco un convoglio del tutto particolare: allontanarsi dalla linea gialla. Alla stazione Barbera arriva il Lokomotiv Moskva. Espressione del Ministero per i Trasporti dell’Unione Sovietica, il sodalizio vede la luce nel 1922, accodandosi alle rivali cittadine che nella capitale abbondano. SpartakCSKADinamo e Torpedo spadroneggiano a Mosca e vasti dintorni. Eppure, i Ferrovieri si guadagnano spazio. Sgomitano fino al punto di comparire in un Albo ristretto: due coppe nazionali e poi il botto alla dissoluzione dell’URSS. Il team che sfiderà il Palermo di Gigi Delneri, ha trionfato in patria nel 2002 e nel 2004 e vuol fare bene anche in Europa. Tra gli undici agli ordini di Vladimir Eshtrekov, scorgiamo delle vecchie conoscenze del calcio nostrano, a cominciare da Francesco Ruopolo. In prestito dal Parma, solo una toccata e fuga l’esperienza estera dell’attaccante. La sua stagione migliore è di là da venire: con la Dea, soprattutto. Francisco Govinho Lima arriva in Italia nella stagione 1999-2000. LecceBologna e Roma: con la Lupa, l’esperienza più longeva del centrocampista brasiliano più di lotta che di governo. Vivrà un’annata anomala: biglietto di andata e ritorno per e dal Qatar. Ma nella capitale russa, ad attenderlo, stavolta tocca ai Biancoazzurri della Dinamo. A Brescia, presto gli ultimi sprazzi di un certo livello. In panchina e nel finale in campo ecco il bielorusso Sergej Gurenko. Ex istituzione proprio dei Ferrovieri, fa la meteora coi Giallorossi, col Real Saragozza e col Parma. Torna alla base: per l’auge, attende ancora. Nelle vesti di allenatore, più vice che protagonista. Il capitano è l’estremo difensore: nulla a che vedere col Belpaese, ma Sergej Ovchinnikov suona familiare. Tra LokomotivBenfica e Porto lo abbiamo visto spesso tra i pali in varie competizioni internazionali. Che dire: sta per iniziare una gara niente male.

Con tutto il rispetto per gli avversari sin qui affrontati, i russi sembrano di un’altra pasta. Nel Palermo, il rumeno Codrea rileva il Genio, mentre in attacco è Pepe a far coppia con l’Airone. Partono bene i rosa, con Caracciolo che fa a sportellate senza trovare la rete, ma una botta al naso. Tiene duro, finché non lo rileva, a pochi secondi dall’intervallo, l’evanescente Makinwa. Per il nigeriano, nessun colpo di rilievo: la vetrina internazionale, per le capriole, resta chiusa. Intanto, Mariano rischia grosso: il retropassaggio di González al connazionale Andújar è irregolare. Il portiere la prende con le mani, ma per la conseguente punizione in area di rigore nessun rischio: ribatte la barriera. Scampata bella, anche quando Khokhlov calcia alto a due passi dal dischetto. Nel finale della prima frazione, è Pepe a sfiorare la realizzazione: la testa non è il suo forte, ma il tuffo è opera d’arte. Il resto, è parte di un portiere che respinge da par suo: Ovchinnikov non è Lev Jašin, il mitico Ragno Nero della Dinamo, ma in quanto a presenza non scherza affatto. La ripresa si apre con un’altra opportunità per Pepe, che non inquadra la porta, ma è Izmailov che spaventa: ha solo un ostacolo da superare, l’estremo difensore. Ma spreca la clamorosa occasione a causa della sua imprecisione. Palermo, occhio al contropiede: se non puoi vincere, non la perdere. La Lokomotiv ci crede, mentre nei padroni di casa il solo a tentarci è ancora e sempre lui, Pepe: ma il portierone russo è un ostacolo troppo grosso. Vedo più nero che rosa, nel finale, con Khokhlov che sfiora ancora il vantaggio, ma con la testa di Barone è più preciso: una capocciata di frustrazione che gli costa l’espulsione. Le han prese, i Rosanero, un po’ ammaccati ma imbattuti. Un punto d’oro, rimediato al cospetto di un avversario più esperto, ben messo in campo e pronto a tutto. Resto soddisfatto: con tutto il rispetto per Cipro ed Israele, il primo match che mi fa sentire per la prima volta davvero in Europa è proprio questo. Quando al Barbera si fermò una locomotiva giunta da un Paese pur sempre lontano. Quello che oggi, purtroppo, ci fa tremare oltremodo e tutt’altro che per una partita di calcio.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

UN GIOCO SEMPLICE

CANGINI E DI CARLO

Domenico Di Carlo arriva al Palermo nell’anno della rinascita. Resta per tre stagioni, lasciando i rosa per Vicenza: proprio in Veneto, arriveranno le maggiori soddisfazioni di una carriera onesta. Non solo una vita da mediano: c’è anche di più. Perché Mimmo, quando occorre, veste i panni del centrale. Lo abbiamo conosciuto così, nei campi polverosi della quarta e terza serie, compresi i terreni spelacchiati del Provinciale di Trapani e di una Favorita che si stava rifacendo il look: gli anni ottanta del nostro calcio, si chiudono con la rassegna iridata che ci riserverà le notti magiche. Ed un Palermo che ci prova, ma non ci riesce: per l’agognato ritorno in cadetteria, bisognava pazientare ancora un po’: giusto un annetto. Nativo di Cassino, in Provincia di Frosinone, Di Carlo si segnala per la correttezza, l’impegno profuso, il vizietto di qualche goal e quella parola che non è mai fuori posto. Un professionista esemplare, innamorato del pallone e di un mondo che continua a frequentare in prima fila: un posto in panca, non glielo si nega. Vent’anni al nord, senza un exploit e qualche flop di troppo: adesso è fermo, ma io ce lo vedo, al timone del Palermo. Dove adesso siede Silvio, che proprio a Mimmo, a bordo campo, ha riservato un bel calcione laddove non batte il sole e, per fortuna, meno duole. Incidenti di percorso: nel suo ruolo da giocatore, il laziale le avrà date e prese altrettanto. Silvio, invece, lo sa bene: per il fattaccio di quel giorno, non basterebbero neanche le scuse. Chiusa parentesi, si riapre il sipario. Nella foto, a portar palla non è un regista, ma un attaccante di quelli vecchio stampo. All’anagrafe, è Cangini Sandro. Un panzer come quelli belli di una volta: l’andamento è lento, ma che portento. Sarà che il calcio di una volta ti resta nelle ossa, ma con un centravanti così, mi son sentito sempre più tranquillo. L’area avversaria la voglio vedere messa a ferro e fuoco, con un carrarmato pronto a spaccare tutto. Il cross giusto e ci pensa il virgulto di turno. Cangini non va a referto spesso: tutt’altro. Undici reti in due stagioni fanno storcere il naso, più che strabuzzare gli occhi. Però mi si sloga la mascella, quando Massimiliano Favo chiude il triangolo e lo mette comodo comodo, a due passi da una porta difesa dal malcapitato portiere del malcapitato Catania di turno: che spettacolo e che boato. La sua annata d’oro era stata alla Vis Pesaro: in Sicilia, soltanto gli ultimi colpi di un certo rilievo. Sandro non avrà mai dimenticato la sensazione del Rosanero addosso. In un periodo dove il calcio era diverso e bastava poco, per affezionarsi ad un giocatore che non avrà reso come aspettato, ma che qualche gioia ti ha lo stesso regalato. Negli anni del tiki taka, delle squadre racchiuse in un fazzoletto, della corsa prima di tutto ed al diavolo tutto il resto, mi resta questo scatto. A ricordarci come il calcio, in fondo in fondo, è e soprattutto era un gioco semplice. Johan Cruijff chiude il concetto da lui espresso in prima battuta e spesso rispolverato a buon proposito, aggiungendo un piccolo dettaglio: che ‘giocare un calcio semplice è la cosa più difficile.’ In effetti, che ci vuole. Sei un mediano, vedi che il centravanti porta palla. Potresti restare a guardare cosa succede, se è il caso devi farti trovare pronto a coprire. Ed invece, Mimmo prende fiato e scatta, come una molla. Sta esercitando la massima espressione che il ‘Profeta del goal’ ci ha lasciato in eredità: il Calcio totale. Tutti che sanno fare tutto. La cosiddetta sovrapposizione creerà superiorità numerica, spazio per sé o per il compagno. Che potrà liberarsi più facilmente al tiro o scegliere l’assist. Questa è mentalità offensiva, vincente. La summa, potete rivederla a ben altri livelli in quel di Upton Park, tempio purtroppo demolito degli Hammers. Dove il Palermo di Francesco Guidolin espugna il salotto londinese del West Ham United con una rete dell’AironeAndrea CaraccioloFábio Simplício soffia di forza il pallone a Benayoun, serve Aimo Diana che scambia con Mattia Cassani. Il terzino si è appunto sovrapposto: ha tolto un probabile controllore al compagno, che adesso è libero per metterla ‘in the box’, proprio come dicono da quelle parti. La sovrapposizione dell’esterno, nell’evolversi dell’azione, è stata determinante. Quel goal è anche frutto del caso, ma di uno schema studiato, figlio della mentalità vincente inculcata da un allenatore che lo era altrettanto. Vedere per credere: in fondo, è così facile. Come giocare a calcio: come ci insegnano Sandro e Mimmo in uno scatto che, ormai, ha fatto i suoi trent’anni. Ma trasuda ancora di calcio: quello semplice. Il più difficile.

Dario Romano
ILPALERMO.NET

BASSO LIVELLO

UNIONE SPORTIVA CITTÀ DI PALERMO 1998-1999

L’ultima annata con Roberto Biffi in rosa. Un addio che chiude un’epoca e coincide con un nuovo inizio: al Palermo, sta cambiando tutto. La promozione sfiorata è l’ultimo atto di una proprietà con l’acqua alla gola: ripescata e proiettata verso un obiettivo proibitivo alla vigilia, ma alla portata per un livello della categoria più basso del previsto. Quindici vittorie, undici pareggi ed otto sconfitte. Trentasei reti realizzate e trenta subite. In classifica, il Palermo chiude secondo, a due punti dalla sorprendente Fermana. Terza la Juve Stabia, mentre la quarta piazza sorride al Giulianova. L’ultima posizione utile per la qualificazione ai Playoff è occupata dal Savoia, che otterrà la promozione a discapito proprio dei Rosanero. La compagine di Torre Annunziata termina il campionato a quota quarantanove, in compagnia del Castel di Sangro e della Nocerina, ma ha la meglio sulle avversarie grazie ai confronti diretti. I Playout condanneranno la famigerata Battipagliese, il Foggia e l’Acireale. Salve, invece, Marsala ed Ancona. Un torneo anomalo, per il Palermo, che fino a Novembre disputa le gare interne al velodromo. Massimo Morgia fa dell’impianto un piccolo fortino: gli spazi stretti favoriscono il suo gioco e gli spunti di Luca Puccinelli, la rivelazione assoluta. Ma a mancare è un cannoniere di categoria, infatti lo stesso Puccinelli e Andrea D’Amblè risultano i migliori marcatori con appena cinque centri a testa: se non è un record, poco ci manca. Considerando il benedetto ripescaggio e l’esilio momentaneo al Paolo Borsellino, la sfiorata promozione desta comunque sensazione. Le sconfitte interne contro Battipagliese (arridaglie) e Lodigiani, tuttavia, risultano decisive (proprio a Battipaglia era arrivato il risultato più convincente della stagione, uno 0-3 a favore). Ma non tanto quanto la disfatta alla penultima col Giulianova: costa le ultime speranze per il salto diretto. La capolista, invece, viene battuta sia all’andata che al ritorno, con identico risultato: uno a zero risicato. Ma è il Savoia, la bestia nera. Vince in casa alla seconda giornata con due reti di scarto e cade nel confronto diretto del ritorno: sempre il minimo sindacale, il solito uno a zero. Al momento decisivo, si afferma prima sul neutro del San Paolo e idem alla Favorita, di misura. Palermo a reti bianche, senza un vero attaccante. A fare da contorno, gli scontri sugli spalti: per una di quelle giornate più nere che rosa della nostra storia. Nella foto manca il portiere titolare: Vincenzo Sicignano, sostituito da Luca Aprile. Curiosità finale: a Nocera, prima giornata al giro di boa, tira già brutta aria, poiché si perde e si finisce addirittura in sette. Espulsi VicèBiffiAntonaccio e Picconi. Tu chiamale, se vuoi, picconate.

Dario Romano
ILPALERMO.NET